Ma al di là di questa opportuna e per molti versi obbligatoria celebrazione dell’uomo che ieri più di altre volte ha raccolto, messo a cuocere e tolto dal fuoco le castagne alla Roma, qui e ora a saltare all’attenzione è l’accortezza con la quale Daniele De Rossi, a sua volta bilanciata miscela di cuore e di ragione, sta riuscendo a gestire le non opulente risorse tecniche della Roma. Audace abbastanza da essere aiutato dalla fortuna, finché questa non si stuferà di essere chiamata in causa. È pur vero che in differenti occasioni ai romanisti sono state imposte ordalie non esattamente meritate, per insipienza arbitrale o per logorio psicofisico accumulato. Non sappiamo calcolare se l’autopalo di ieri saldi il credito: il valore di mercato dei tre punti incassati è comunque di quelli che cambiano la vita, quantomeno la stagione.
Ma dicevamo delle risorse e di dove trovarle. De Rossi le trova in luoghi impensati, in persone al di sotto di ogni sospetto. Possiede la stabilità emotiva e il raziocinio del centrocampista difensivo e insieme il coraggio del trascinatore che vorrebbe la sua squadra perennemente riversata nella metà campo davanti. La sua esperienza, le conoscenze tecniche e tattiche apprese in una vita da mediano con licenza di scegliere gli permettono di amalgamare il tutto.
La fantasia fa il resto. Aouar messo a decentrarsi e accentrarsi in stile Dybala, in maniera che l’originale abbia tutto il tempo di riprendersi da un periodo di superlavoro, è un’invenzione da allenatore indurito, a prescindere dagli effetti contingenti. Celik introdotto come passaggio a livello nel momento di maggiore ispirazione di Laurienté significa saper decifrare le partite, accontentarsi quando è necessario, senza rinunciare alle occasioni del momento, al rovesciarsi positivo della situazione. Azmoun entra al momento giusto, quando la sua agilità può facilitare il mantenimento del pallone e sorprendere difensori ormai adattatisi agli appesantimenti di Lukaku. Mentre Baldanzi diventa simbolo di fiducia nelle capacità offensive residue della Roma ed efficace agente oltre le linee.
Se questo è quanto il convento ha in dispensa, questo è quanto De Rossi cucina. Non si può neppure dire sia malaccio, altrimenti sette vittorie su nove partite rimanendo al campionato non arrivano, non importa di quante trovate saporite si sappia arricchire il menù. Aouar, Azmoun, Abraham ora che siamo potuti tornare a salutarlo di persona, N’Dicka, Celik, Angeliño, Svilar alter ego di Rui Patricio e via andando è molto più di quanto possano vantarsi il Sassuolo e su su parecchie squadre. De Rossi ha avuto anche quest’aiuto dalla sorte favorevole: riscoprire la dispensa, umile ma onesta, pressoché piena. Giocatori convinti della propria salute e delle proprie doti, o guariti o in via di guarigione, o finalmente nel pieno possesso delle facoltà muscolari.
Può bastare per farsi largo fino a posizioni da Champions e a turni avanzatissimi di Europa League. Anche a una squadra sostanzialmente stanca a cui la sosta offre una mano benevola. A Lecce si ricomincerà senza Pellegrini, squalificato. È in casi come questi che la fantasia viene utile.