Il calcio è inventiva, coraggio e spirito di gruppo. Per questo la sconfitta della Roma di Daniele De Rossi contro l’inarrestabile Inter vale simbolicamente quanto una vittoria. Anzitutto perché sul risultato pesa il primo gol regalato dall’arbitro a Inzaghi, con una giurisprudenza creativa figlia dei nostri giorni. Marco Guida considera «non interferente» il fuorigioco di Thuram, posizionato oltre l’ultimo difensore e a contatto con Rui Patricio, poiché sul colpo di testa di Acerbi il portiere non è condizionato nella visuale della traiettoria e nella libertà dei movimenti. Il direttore di gara ignora o finge di ignorare che l’interferenza sta nel piazzamento dell’estremo difensore. Quando Acerbi stacca di testa per colpire, la presenza di Thuram di fianco a Rui Patricio induce il portiere a presidiare quella zona della porta, non potendo prevedere dove sarà indirizzato il pallone. Quindi il fuorigioco «impatta sull’avversario», perché l’attaccante interista è a contatto fisico con il portiere e ne condiziona la posizione. Secondo una interpretazione logica di un regolamento confuso e inadeguato, avrebbe dovuto essere fischiato. Ma nel calcio delle regole «fai-date, tanto poi si trova la pezza», accade il contrario. Al netto di questo ennesimo svarione, è un’altra Roma. Perché reagisce allo svantaggio, gioca tra le linee, avanza corta in un pressing che, per tutto il primo tempo, schiaccia l’Inter nella sua metà campo e colpisce due volte con Mancini ed El Shaarawy. Poi subisce la reazione della capolista, che nei primi venti minuti della ripresa avanza Calhanoglu di dieci metri, scatena gli incursori Barella e Mkhitaryan, e brucia due volte sul tempo la retroguardia giallorossa, con le zampate del suo giocatore più promettente: quel Thuram che sta accoppiando la sua vocazione alla corsa con il senso del gol. Ma è ancora la Roma a riprendere il controllo del gioco e a infilare i nerazzurri in contropiede. Se Lukaku e Dybala non fossero in versione «Bella addormentata nel bosco», la racconteremmo diversamente. Negli ultimi venticinque minuti la squadra giallorossa crea e sciupa almeno tre occasioni nettissime per portarsi in pareggio, fino al gol di Bastoni che chiude i giochi. Basta questo per certificare che molto è cambiato nella disposizione dei singoli e nell’atteggiamento tattico della Roma. Si rivede finalmente quella voglia di battersi del primo Mourinho, che pareva scemata. Giocatori come Pellegrini e Paredes sono letteralmente rinati. Anche contro il centrocampo più forte del campionato, la mediana di De Rossi è parsa in grado di spostare il baricentro del gioco in avanti, passando tra le linee con corridoi ficcanti, soprattutto nel primo tempo. La difesa a quattro supporta meglio il gioco offensivo e tutto sommato garantisce una discreta copertura difensiva, se è vero che il secondo e il terzo gol dell’Inter sono figli più del vantaggio di Thuram sullo scatto rispetto ai marcatori giallorossi, che di un’inadeguatezza tattica difensiva. Certo, se perdi palla sulla tre quarti contro Barella e compagni, il rischio di prenderla in contropiede c’è sempre. Anche quando il suo regista turco non è in giornata di grazia, l’Inter può sfiancare l’avversario, acquattata nella sua metà campo, e poi scatenarsi in dieci minuti, spingendo sulle fasce come nessun altro è in grado di fare. Però la Roma è viva, cresce e matura una mentalità offensiva che è la cifra tattica del suo nuovo allenatore. Se Dybala fosse in grado di dosare meglio le sue ridotte energie, tenendosi dalla metà campo in su e rinunciando a rientrare in fase di costruzione, dove il suo contributo è inutile e il costo fisico è più elevato, i giallorossi avrebbero un costante punto di riferimento negli ultimi trenta metri. Poi, forse, la pretesa di farlo giocare 90 minuti è velleitaria, disponendo con Baldanzi di un rincalzo capace di stupire. Ma su questo De Rossi avrà tempo per riflettere. Per intanto incassa la risposta del gioco e non ha che da rallegrarsi. La Roma reagisce alla sua cura.