Oggi è l’ultimo giorno di Tiago Pinto alla Roma. Chiarisco subito, anche se immagino non ce ne sia bisogno, che fin dall’inizio lui ed io abbiamo avuto un pessimo rapporto e con lodevole coerenza l’abbiamo mantenuto tale per oltre tre anni. Mio il peccato veniale. Segnalato da un head hunter, il dannoso Charles Gould tutto algoritmi e distanze siderali dai problemi, Pinto aveva ottenuto un incarico più grande di lui, quello di direttore sportivo di un club ambizioso, affamato di successo e internazionalità. Non considerandolo l’uomo giusto, lo scrissi non una, ma più volte. L’origine di tanta diffidenza? Il mercato non era mai stato il suo specifico al Benfica, la sua precedente e unica esperienza calcistica, dove se ne erano occupati - a parte l’ingombrante ex presidente Vieira - Domingos Oliveira e Rui Costa, da ottobre numero uno del club.
Il poco affettuoso bem-vindo, benvenuto, del Corriere non me l’ha mai perdonato. E in fondo lo capisco. Pinto è un eccellente direttore organizzativo: sede, viaggi, logistica, strutture. Dovendo soprattutto trattare acquisti e cessioni, la composizione della squadra, con tutti i difetti dell’inesperienza si è ritrovato ad affrontare anche ostacoli supplementari, quali il settlement agreement e le numerose riserve di Dan Friedkin, impegnato nel mettere milioni in cassa per aggiustare i conti. Il colpo di culo del Nostro è stato l’arrivo di Mourinho (strepitoso guizzo di Dan); Mourinho che - lo sottolineo - anche privatamente ha sempre rispettato la figura e il ruolo del direttore: prima di trovarselo alla Roma, non l’aveva peraltro mai incrociato.
Per eccesso di aziendalismo e correttezza, Mou ha così subìto le partenze di Dzeko (solo in parte colpa di Pinto: Edin aveva un accordo con la società), Mkhitaryan (sarebbe rimasto volentieri con un biennale), e ha accettato con notevoli sofferenze, concedendosi comunque qualche scazzo, i vari Shomurodov, Viña, Maitland-Niles, Camara, Solbakken, Celik, Kristensen, N’Dicka, Aouar, Llorente, Reynolds (complici gli americani) e Renato "Ossessione" Sanches. Pinto - ho le prove - era stato a lungo contrario all’arrivo di Dybala, in seguito sedotto da Mourinho e convinto da Fabrizio De Vecchi, mentre per Lukaku si è reso necessario l’intervento diretto di Dan Friedkin sul manager iraniano Behdad Eghbali, socio al Chelsea di Todd Boehly.
Nella vita e nel lavoro l’errore è contemplato e molte sono le cose perdonabili. Per questo in almeno tre occasioni ho cercato di rappattumare il rapporto, ma chi nasce a Moura Morta è orgoglioso, permaloso e anche un po’ bugiardo.
Quello che rimprovero maggiormente a Pinto è il mancato apprezzamento pubblico nei confronti di Mou, grazie al quale ha potuto inserire nel curriculum due finali europee, una vinta e l’altra rubata. E, prima di ogni altra cosa, di non aver protetto l’allenatore con la proprietà, portandolo addirittura a partire l’estate scorsa in scadenza di contratto. Errore da condividere con Mourinho stesso che non avrebbe dovuto accettare una condizione simile. In tutta onestà segnalo che, proprio mentre scrivevo questa nota, ho ricevuto un messaggio dalla Roma (fonte molto credibile): «Tiago ha difeso il mister nell’ultimo periodo in modo clamoroso e questo ha provocato le conseguenze… guarda che se voleva essere scorretto ci sarebbe riuscito in modo molto più eclatante e invece ha preso le sue difese». Ho tanta voglia di credere che sia la verità.
A Pinto, che con professionalità ha lavorato fino all’ultimo giorno realizzando finalmente due buoni acquisti (sarebbero arrivati anche con Mou?, dubito), auguro un futuro brillante e di incontrare sulla sua strada "filhos da puta" come il sottoscritto, giornalisti che quando hanno un’opinione precisa, la difendono e accettano di pagarne le conseguenze. Un’ultima cosa: Pinto ha certamente scontato gli effetti di un metodo deleterio. Il buon calcio è ancora il prodotto di competenza, idee, conoscenze dirette. Non di arroganti algoritmi alla Gould e fredde cifre.
PS. Non mi aspetto un messaggio, né una sua telefonata. E comunque "prefiro ser odiado por quem sou do que ser amado por quem não sou".