Roma, quando il gioco si fa duro gioca Mourinho

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Marco Evangelisti
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Fate il vostro gioco, perché José Mourinho farà sempre il suo. Testardamente sul campo, soppesando le risorse a disposizione, separando il grano dal loglio - in base a suoi indiscutibili sistemi di vaglio, s’intende - e disponendo ciò che rimane nelle geometrie dettategli dalla coscienza tattica. E continuerà a giocare anche a partite concluse, con sistemi più sottili e duttili, ascoltando echi, annusando umori, facendosi pietra o acqua o carta a seconda delle circostanze. Nella sua ricerca del posto migliore in cui stare, e stare bene, Mou è Sherlock Holmes, è Arsène Lupin, è don Isidro Parodi: logico fino alla pedanteria, strategico fin quasi alla paranoia, paziente e analitico fino alla sonnolenza. A partite concluse, dicevamo? Ma per lui la vita è una partita senza tempo determinato, una sfida d’astuzia e prontezza. Contro molti, non contro tutti: il suo gioco consiste proprio nel procurarsi gli alleati giusti. E isolare la parte avversa. Lo sta facendo ancora una volta, arruolando il linguaggio e spedendolo in battaglia con tutte le energie di un intelletto vivace. Sa come costruirsi intorno un baluardo modellando l’affetto dei tifosi, sa come convincere i giocatori che Mourinho è la cosa migliore che potesse capitare loro qui e ora.

A Mourinho è bastata una frase

Ha capito di voler restare alla Roma, dunque lavora all’isolamento di chi potrebbe mandarlo via oppure impedirgli la permanenza: il club, i Friedkin, gli eventuali anticorpi all’interno della società. E non da oggi. Aveva già vinto la primavera scorsa, quando pochi avrebbero scommesso un euro o un dollaro su un terzo anno in panchina e invece José venne confermato per acclamazione popolare e autoimposizione delle mani. Gli bastò dire, dopo l’offensiva beffa di Budapest, che non poteva mollare, per l’amore del cielo, della terra, dei calciatori e dei tifosi. Così vinse. Gli bastò una frase, una formula, e scattò l’incantesimo che tesseva pazientemente da due stagioni agonistiche. Questa volta non è così semplice. Questa volta la proprietà potrebbe aver compreso come contrastare il suo carisma. Con l’invisibilità o con il silenzio, stanca dell’inflessibile presenza di un uomo che vince anche quando perde contro la Juve. Oppure, di colpo, potrebbe arrendersi all’evidenza che oggi si manifesta così: tifare contro Mourinho è qualcosa di molto simile a tifare contro la Roma.


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