L’aggressione contro l’arbitro Taylor e la sua famiglia in aeroporto da parte degli ultrà giallorossi è un gesto gravissimo, da condannare senza se e senza ma. Perché qualunque contestazione verbale, quando si realizza attraverso un accerchiamento di molti attorno a uno solo, rappresenta una minaccia capace di innescare una violenza ancora maggiore.
L’affronto di Mourinho al direttore di gara è invece una reazione sgraziata ma inoffensiva, che niente, proprio niente ha a che vedere con la prima. Accostare i due fatti, come ha fatto una parte della stampa inglese, è chiaramente strumentale, e contribuisce a inquinare il clima attorno a una partita arbitrata molto male. La doverosa e piena solidarietà che il direttore di gara merita, per ciò che di inaccettabile lui e la sua famiglia hanno dovuto subire, non può includere una censura al diritto di critica sul suo operato in campo.
Pronunciato in tre lingue diverse, spagnolo, inglese e italiano, l’improperio di Mourinho è esercizio di quel diritto di critica, e insieme parte di quell’estetica tutta personale dell’allenatore di confrontarsi a tu per tu con l’autorità. Ed è, ancora, figlio della solitudine a cui il portoghese è stato condannato da una società tragicamente assente lungo tutta la stagione.
Fare chiarezza vuol dire diradare le nubi che salgono attorno all’ennesimo caso arbitrale in cui è coinvolto questo personaggio controverso, che tuttavia incarna una delle forme più originali e preziose della leadership calcistica. Battute e provocazioni come quelle pronunciate da Mourinho alla Puskas Arena sono parte di quella dialettica adrenalinica che si sviluppa tra i protagonisti nel dopo partita. E che solitamente sfugge alla conoscenza pubblica perché avviene negli spogliatoi, dove accade sovente che un allenatore invochi nei confronti dell’arbitro le sue ragioni. Al netto del lessico da trivio, che purtroppo è l’abbecedario di questo ambiente, Mourinho ha espresso un’emozione condivisa da tutti coloro che hanno guardato la partita della parte della Roma: Taylor è stato una dannata disgrazia per una squadra che sul campo ha dominato e che, dalle decisioni arbitrali, è stata penalizzata.
La Uefa ha aperto un’inchiesta sulle parole del tecnico giallorosso. Si direbbe un atto dovuto. Non vorremmo però che dietro questa solerte risposta della burocrazia sanzionatoria si celasse la tentazione di individuare un capro espiatorio per bruciarlo sulla pubblica piazza. E rimuovere, in questa catarsi moraleggiante, le contraddizioni e i limiti di un sistema arbitrale che merita, a Roma come a Londra, molto più che una regolazione.