«Posso lavorare di più. Quello che invece non posso fare sono i miracoli. Io non sono Merlino o Harry Potter». Ho ripreso una vecchia battuta di Mourinho per tentare di spiegare - non ho scritto giustificare - l’uscita della Roma dalla Coppa Italia e, in particolare, la formazione iniziale che tanto ha fatto incazzare la tifoseria. «Era l’unica cosa che si poteva vincere» mi ha scritto un romanista. «La rosa conta poco, visto chi giocava di là» il commento di prima mattina di un collega assai noto e di parte. Al quale ho ricordato che le seconde linee del bellissimo Napoli di Spalletti, assai più forti di quelle di José, con la Cremonese avevano appena subìto identica sorte. Il calcio è sorpresa.
La mancanza di alternative
Mourinho ripete da tempo, anche nei momenti felici, che la rosa non è all’altezza delle prime quattro, soprattutto in considerazione dell’assenza di pause da gennaio a giugno. Dybala, Pellegrini, Smalling, Matic e Abraham (…), i cinque insostituibili, sono spesso a un attimo dall’usura muscolare e quindi da impiegare in sottrazione. Contro la Cremonese - partita definitiva, certo - e in vista dell’impegno con l’Empoli che per ventiquattr’ore potrebbe proiettare la Roma al secondo posto (una magia alla David Copperfield!), il tecnico ha dato spazio ai giovani Volpato e Tahirovic, al poco utilizzato Kumbulla e ha rilanciato Celik e Belotti, dei quattro il più positivo. Per essere ancora più chiaro ribadisco che, giocando ogni tre giorni, la Roma ha alternative che abbassano notevolmente il livello: e dovendo per forza di cose ridurre i tempi di lavoro, proprio le alternative faticano a raggiungere una condizione fisica e mentale accettabile (Kumbulla, Belotti). Mercoledì sera tre titolari, usciti sfiniti dal Maradona - Pellegrini, Matic e Dybala - erano effettivamente a rischio: Mou è stato così obbligato a fare scelte apparentemente incomprensibili. Chi trova poco convincente la spiegazione confronti la panchina della Roma con quelle di Napoli, Inter, Milan e Juve. Vivendo una stagione di congestioni e gestioni forzate, José ha dovuto riconsiderare le priorità: il posto Champions e l’Europa League hanno un valore decisamente superiore alla semifinale e alla finale di Coppa Italia che non garantiscono nulla. Il trofeo vale solo se lo vinci: a quale prezzo però? Mi spingo oltre, visto che la domanda che a Roma mi viene posta con più frequenza riguarda la permanenza per un altro anno di Mourinho.
Il futuro di Mou e della Roma
È necessaria una premessa. Questo, a grandi linee, lo scenario 2023-24: è noto che per fare acquisti Tiago Pinto è obbligato in primo luogo a vendere. I pezzi appetibili sono soltanto due: Ibañez e Abraham. Wijnaldum (ancora fuori), Camara e Llorente sono prestiti; Smalling, Belotti e El Shaarawy in scadenza; Dybala, se parte Mou, saluta la compagnia. En attendant rinforzi a costo compatibile con il settlement agreement, restano Rui Patricio, Svilar e Boer; Celik, Karsdorp, Mancini, Kumbulla, Zalewski e Spinazzola; Bove, Tahirovic, Cristante, Matic, Pellegrini e Villar (rientro); Solbakken, Volpato, Shomurodov (rientro), Majchrzak e Perez (altro rientro). Con questi presupposti pensate sia possibile che Mourinho resti fino a giugno ’24? Il progetto che lo sedusse era ben diverso: primo anno difficile, secondo di crescita e terzo vincente. La Roma, oltretutto in una fase in cui Juve, Milan e Inter hanno problemi di vario genere, e soprattutto José e i 65mila che riempiono sistematicamente l’Olimpico meritano ben altro.
PS. Dopo aver conquistato il popolo romanista con un ingresso in grande stile (hanno evitato il fallimento del club) e l’arrivo di Mourinho, cos’hanno intenzione di fare i Friedkin della Roma? Innescano la quarta o la retromarcia? È la risposta che serve. A tutti.