Roma, le diciannove fatiche di Mourinho

Roma, le diciannove fatiche di Mourinho© ANSA
Ivan Zazzaroni
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La partita che, un po’ a sorpresa, ha mostrato (o confermato) le qualità e i difetti della Roma, ora a diciannove punti, tre più della scorsa stagione. Parto dalle prime: le giocate di livello superiore, le intuizioni e le conclusioni di Dybala, che da straordinaria presenza sta per trasformarsi in pesantissima assenza; le soluzioni su palla inattiva rese irrinunciabili e sistematiche dai tempi e dai centimetri di Smalling, Ibañez, Mancini e anche Cristante; il piede educato e la visione periferica di Pellegrini; l’intraprendenza di Zalewski e Zaniolo, che purtroppo ha ancora più gamba che testa. E ora i difetti, i più visibili: l’amara condanna di Mourinho, costretto a mettere al centro della manovra Matic e Cristante, entrambi di passo troppo lento: nelle intenzioni non avrebbe voluto formare questa coppia, prediligendo un secondo centrocampista rapido: purtroppo per lui Mkhitaryan se n’é andato all’Inter, mentre Wijnaldum, l’uomo giusto al posto giusto, si è fatto subito male. Soltanto quando decide di impiegare contemporaneamente Pellegrini, Zaniolo, Dybala e Abraham o - come ieri - Belotti, Mou rinuncia almeno inizialmente a Matic e abbassa Pellegrini guadagnando in dinamismo ma perdendo qualcosa sulla trequarti; infine l’ostinata e spesso improduttiva ricerca da parte di Zaniolo della soluzione personale che di solito rende inutile la presenza del compagno più vicino e liberatosi.

Non poteva però essere il Lecce l’avversario ideale per la Roma in funzione della sfida di giovedì col Betis, l’impegno fin qui più importante. Non poteva esserlo poiché le caratteristiche della squadra di Baroni sono esattamente l’opposto di quelle degli spagnoli: il Lecce ha il minor possesso della serie A e investe molto sulle ripartenze, il Betis è tutto fraseggio e movimento senza palla, una costruzione sofisticata che porta gli avversari a sfinirsi nella corsa al recupero. E non poteva essere il Lecce anche perché dopo venti minuti era già sotto di un gol e un uomo, Hjulmand, espulso dal Var per un intervento pericoloso su Belotti - occasionale, ancorché meritata, la rete di Strefezza che ha creato qualche imbarazzo.  
Ieri Mou, che di solito non ama le turnazioni, si è permesso qualche libertà impiegando Viña al posto di Spinazzola (cambio conservativo: ha già due esterni in infermeria), e Belotti al centro dell’attacco per abbassare la pressione su Abraham, tra i meno efficaci e più attesi e importanti. Ma non ha ricevuto le risposte che si augurava.  
Già, Mourinho. Quando il personaggio offusca l’allenatore. Nonostante abbia vinto tanto e ovunque (Portogallo, Spagna, Inghilterra, Italia, Europa), per i più è “soltanto” uno strepitoso fenomeno mediatico e un gestore di campioni: non gli vengono riconosciute le doti tipiche del tattico. Le sue squadre non giocano bene, sento ripetere. Oppure, restando ai giorni nostri: la Roma è troppo lunga e butta via la palla. Perfino quando la scorsa stagione vinse il derby 3-0 con il “giochista” Sarri, i commenti non inclusero apprezzamenti di carattere strettamente tecnico.  
Mou non è interessato al giudizio degli altri, si occupa e preoccupa degli aspetti sostanziali del suo lavoro, ovvero di una squadra imperfetta in mezzo e dietro. Non a caso per tutta l’estate ha sognato un giocatore come Guido Rodriguez, autore del primo gol del Betis all’Olimpico, e un centrale in più.

 


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