Mourinho e Sarri, caos Capitale

Mourinho e Sarri, caos Capitale© ANSA
di Marco Evangelisti
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Proprio loro, a cui non sono mai mancate le parole e neppure le parolacce. José Mourinho e Maurizio Sarri elencati in ordine alfabetico e di cronologia dei fatti, delle manifestazioni fisiche e dell’interruzione delle comunicazioni. Numero Uno, chiuda il collegamento: e il capitano Picard non spiccicava più parola. Da quelle pause strategiche delle trattative passava il futuro della galassia. Più modestamente e realisticamente, dalle cadute di voce di Mourinho e Sarri passano la storia prossima ventura della Roma e della Lazio, l’aspetto che avranno nella stagione che arriva le due squadre, lo stato d’animo dei tifosi, la struttura dei club, i contorcimenti interiori di qualche giocatore sballottato tra fedeltà alla causa, ammirazione per gli antichi maestri e fascinazione per nuove avventure. 
 
Sembra quasi s’inseguano Roma e Lazio, cavalcando le onde del destino. Sul ciglio della bella stagione dello scorso anno sfilarono l’una dopo l’altra gli assi dalle maniche, a Mourinho seguì Sarri, a Friedkin replicò Lotito. Adesso sembra essere Mau ad apprendere e riapplicare la lezione comunicativa o anticomunicativa di Mou. Si potrebbe dire che a Sarri riesce più facile perché in realtà è sempre stato un tipo di lingua corta e vasto sentire, d’azione assai più che di arringhe. Mentre, com’è noto, Mourinho sin da giovane rende pulpito ogni angolo in cui s’insedia, sa nascondersi agli sguardi finché non se ne esce con una massima, un aforisma, un ragionamento spiazzante e conquista l’attenzione generale. Ha imparato a farlo, sembra, al Barcellona quando assistendo Van Gaal lo scavalcava invadendo in sua assenza gli spazi dialettici lasciati sgombri. L’eloquio e l’empatia sbarazzina contrapposti alla gelida precisione professionale: ovvio che poi alcuni tra i giocatori considerassero lui l’interlocutore privilegiato.

Ma sarebbe una conclusione basata sul luogo comune. Intanto Sarri non è mai stato un silenzioso patologico, solo uno che pesa i concetti, misura gli interventi e non vede il motivo di circoscrivere l’intelligenza altrui con un’overdose di sé stesso. Non ha mai tentato di imitare Mourinho, anche perché per farlo avrebbe bisogno di rinnegarsi e rimodellarsi come un ultracorpo. D’altronde, il silenzio di Mourinho è puramente formale. A parte il colloquio continuo con tutti i membri del suo equipaggio, purché li abbia scelti o approvati, lui riempie i propri spazi virtuali di nature morte enigmatiche, immagini di piedi stesi con o senza calzini, strumenti di lavoro, frammenti di architetture di ufficio. Stando agli esegeti, ogni particolare di quelle foto ha un significato allegorico come nei dipinti di Hieronymus Bosch.

Può darsi sia vero. A noi critici moderni e superficiali più solido di tutto il resto sembra questo silenzio ostentato nel mondo fuori della bolla, questo spazio vuoto di musica e di parole che unisce Mourinho a Sarri nell’estate ormai profonda. E che in teoria dovrebbe durare fino al 13 agosto, data perciò fatidica nel senso letterale del termine, il giorno in cui il destino tornerà a parlare. Ha persino un senso tutto questo: nell’annata in cui il Mondiale invernale spinge ogni cosa all’indietro, siamo entrati presto nella fase in cui qualsiasi sillaba pronunciata può risultare vana, smentita dai fatti in tempi brevi. Molto è ancora da fare sul mercato e nelle squadre, e tuttavia il tempo per farlo si accorcia rapidamente.

Mourinho e Sarri hanno fretta, quindi, e hanno voglia. La loro irritazione, in apparenza simile, nasce da stimoli differenti e sfocia in una smania di rimodellare la realtà di Roma e Lazio a propria immagine e somiglianza. Mourinho avrebbe desiderato trovare già pronta e attrezzata, oltre che snellita, la sua legione di calciatori e invece deve ancora incitare la società a muoversi, a scegliere, a lanciarsi. Nota a margine: la vicenda di Zaniolo in sé gli fa il caldo e il freddo giusti, ma sa benissimo, trattandosi di un allenatore e non di un attore, che una cosa è costruire una Roma con Zaniolo e un’altra una Roma con un attaccante diverso. Né meglio né peggio, ma due questioni differenti. Sarri invece è innervosito dall’acqua troppo calda e agitata in cui è chiamato a nuotare, dalle tensioni con dirigenti del club e tra dirigenti del club. Dal fatto che si sente inascoltato, e allora a che pro sprecare il fiato?

Li accomuna il silenzio, in questi giorni. E l’energia. Non vorrebbero essere altrove, vorrebbero modificare il qui e l’ora. Hanno accettato di imboccare una strada sterrata però nitida: Roma e Lazio e le loro promesse di crescita, nutrite di pubblico entusiasta, proprietà vivaci, organizzazione razionale. E adesso temono che il processo si stia arrestando, come sembra arrestarsi e svanire in fumo ogni ambizione di modernità in questa capitale accaldata, labirintica, talvolta impaurita. Proprio nei giorni in cui Milano, per esempio, ritrova l’abbrivio e calcisticamente si rinnova. Allora Mourinho e Sarri fanno ciò per cui sono stati designati e pagati: stimolano, incitano, mostrano e dimostrano. Se necessario anche con un silenzio che urla.


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