Roma, la tattica è una virtù di fede

Roma, la tattica è una virtù di fede© LAPRESSE
di Alessandro Barbano
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La sublime magia che libra la Roma nel volo verso la finale di Tirana ha l’umiltà di un’implorazione. Quella di Abraham, sfinito, che chiede disperatamente a Mourinho il cambio. E lui, lo Special, si volta dall’altra parte, fingendo di non vederlo. Perché sa, meglio del centravanti, quanta birra scorre ancora in quella sagoma segaligna, che sgambetta a scatti nel suo sforzo supplementare, issando la zazzera dorata sulle teste dei difensori avversari. Non ha più, Abraham, la flessuosa torsione di una corda, che all’undicesimo s’inarca e fulmina il portiere del Leicester, Schmeichel. Ma la sua fatica, che con una smorfia di dolore invoca la pietà, è il volto della Roma che si consegna al sacrificio verso un dio esigente, eppur buono: José Mourinho

Questa è una famiglia, dice il tecnico dopo la vittoria, paonazzo di una gioia non dissimulabile, che tracima per il suo sistema circolatorio. Una famiglia allargata, ma patriarcale, complice ma responsabile, il nucleo originario di una divisione dei compiti tra un gruppo che combatte per sopravvivere. Sopravvive la Roma a quattordici prove del fuoco, prima della finale che verrà, con lo spirito di una comunità primitiva, abituata a dividere il cibo e l’acqua, il fuoco e il riparo, il coraggio e la paura. Tutti per Mou, e Mou per tutti. Così il guru più moderno e insieme più arcaico che si possa immaginare, l’uomo che sembra uscire dal sortilegio della lampada, resta sulla piazza del calcio di club l’unico realizzatore dei desideri di massa. Ha chiesto ai suoi undici ragazzi di tenere il fiato finché si può, oltre il fiato del Leicester, che a metà del secondo tempo ne ha già cambiati quattro. Questa gara è una prova di carattere prima con se stessi: Zalenski, Zaniolo e Abraham, dovete rassegnarvi e soffrire finché avete un briciolo di energia. Perché il primato atletico non è più una questione di gambe. Tutto è nella testa, in un singolare Wi-Fi dello spirito. Lo Special la chiama empatia. E ha ragione: questa squadra sa scambiarsi il sacrificio come fosse un dono. 

La tattica del più carismatico allenatore del campionato è anzitutto una virtù cristiana. L’armonia della tribù giallorossa ha un tratto apostolare. L’appello ai tifosi dell’Olimpico è il suo richiamo ecumenico. Una fede laica racconta la passione che si raccoglie sotto il cielo della città eterna e parla già a tutti i governi e i popoli del calcio europeo. Qui è nata una stella, destinata a brillare oltre i confini delle Alpi. Nel freddo inverno del calcio italiano è un tiepido bagliore di speranza. 


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