Tirana sta lì, la vedi, forse più vicina. Quanto meno, non così lontana. Poteva andare meglio, poteva andare peggio. L’abbagliante ventaglio tecnico della Roma a campo aperto, intermittente ma quanto basta per chiudere il primo tempo in vantaggio, subisce nella ripresa la prepotenza fisica dei Leicester. Un assedio muscolare. Josè Mourinho ha la premonizione del pericolo, lo avverte quando a noi comuni mortali sembra ancora remoto e parte la carica dalla panchina.
Si era presentato nella mai completamente sua Inghilterra con tre carte importanti da giocare, Tammy, Smally e Miky. Due figlioli di sangue british e l’altro che questi campi li ha pestati per anni con grande profitto. Si è ritrovato davvero per novanta minuti un monumentale, non pagellabile per quanto bravo, Smalling, parzialmente gli altri due (l’armeno fuori per infortunio). Insieme a un Ibanez da trincea e un impressionante Zalewski, in crescita esponenziale.
Lavori in corso, dunque. L’opera continua, tassello dopo tassello, nella speranza che diventi un capolavoro da qui ai prossimi due anni. L’1 a 0 di Pellegrini è tutta farina del suo sacco. L’illuminante cambio di fronte di Zaniolo, sapiente gestione di un ragazzo dalla storia complessa, meraviglioso filtrante di Zalewski, il polacco di Tivoli, una sua totale invenzione, e affondo di Pellegrini, il capitano a cui ha dedicato parole importanti. Di certo, Mourinho sempre più uomo al comando. Non da solo. La Roma è sempre più la sua emanazione. Squadra con una identità sempre più chiara, sempre più ambiziosa e sempre più onesta nel riconoscere i propri pregi dopo aver troppo riconosciuto i suoi limiti. “Onesto, diretto, ambizioso", così si è sempre dichiarato Josè nel momento in cui deve raccontarsi.
“Questa coppa è la mia coppa”, aveva detto alla vigilia con uno dei suoi abituali lampi di genio comunicativo. Josè Mourinho come Friedrich Nietzsche. L’amor fati. L’accettazione gioiosa del destino. Il mio passato è puro glamour, un putiferio di vittorie stellari, di trofei prestigiosi, alla guida dei club più strafichi del pianeta? Chi se ne frega, il mio presente è la Roma, il mio presente è la Conference League, il mio presente è ciò che amo. Bel colpo, Josè.
Che ora può anche finalmente dire: “Questa Roma è la mia Roma”. Per la gioia, questa sì mai parziale, dei lupi giallorossi presenti e rumorosi a migliaia anche ieri sera a Leicester, loro più Dan Friedkin, più silenzioso ma non meno partecipe. Mou, che invade la testa dei suoi giocatori ancora prima che l’area nemica. Ha dovuto scremare, pulire, scansare scettici, eretici e diffidenti con una brutalità che è sembrata incomprensibile a molti di noi, tabula quasi rasa necessaria per creare i presupposti giusti di una squadra che ora pende dalle sue labbra. I tifosi, loro pendono dal primo istante.