Si può fare. Altroché. Lo si sapeva (e lo si sperava) alla vigilia, lo si può sostenere con maggiore convinzione adesso. Finito il primo tempo di Leicester, i prossimi - e decisivi - novanta minuti si giocheranno in un Olimpico da show, già esaurito da giorni. Giallorosso fino al midollo. Un fattore, sulla strada che porta all’ultimo atto di Tirana. Ha lottato e sofferto, la Roma; ancor più nella ripresa, quando la difesa del gol del vantaggio realizzato da Pellegrini, una splendida rete romana e romanista da dividere con lo sfrontato Zalewski, è parso il primo, quando non esclusivo, compito del gruppo di Mou. Gruppo solido, compatto, tenace, tignoso, ruvido quando doveva esserlo; talvolta impreciso in situazioni di uscita con errori non provocati, ma questa è una vecchia storia, irrisolta. Il Leicester ha fatto la pressione che doveva, e che si prevedeva, con maggiore impatto con il risultato a sfavore; pur decima in Premier, e con molte amnesie per i tanti infortuni nel corso della stagione, la squadra di Rodgers ha rosa di talento, e i cambi si sono rivelati fondamentali per il riequilibrio del match. Più corta, quella della Roma.
Occorrerà molta testa, dice Mou, rivolgendo lo sguardo alla gara dell’Olimpico. Testa e cuore. Testa e coraggio. Che questa Roma ha dimostrato di aver in egual misura pure con il vento contrario. Una crescita che è di personalità e di autorevolezza. Emersa soprattutto quando l’onda lunga del pari del Leicester poteva travolgerla. E invece la palla più nitida, per vincere nei minuti conclusivi, l’ha avuta Oliveira, imbeccato da un’azione testarda di Abraham.
Il centravanti londinese merita discorso a sé. Sotto lo sguardo di ben venticinque familiari, al termine di una trasferta con i riflettori puntati per il ritorno in Inghilterra, ha giocato novanta minuti andando a sporcare qualsiasi pallone capitasse in zona, con quella abilità di chi spesso è capace di tramutare il ferro in oro. Anche Zaniolo, il più delle volte spalle alla porta, ha fatto a sportellate fino a quando ha avuto fiato e gambe. Nell’economia del match, gli attaccanti erano chiamati al compito più difficile, quello di allungare la squadra per quanto si poteva. A Roma dovranno recitare altra parte, anche perché la difesa del Leicester non è parsa impeccabile.
A proposito di difesa: gigantesca la prova di Smalling, un baluardo assoluto, con anticipi e recuperi a segnare il tempo delle ripartenze, rimettendoci pure il naso per una botta terribile di Iheanacho. Un leader tranquillo, che in campo detta i ritmi con precisione millimetrica: cancellato Vardy, fermo e inconcludente, ha dovuto metterci l’anima (e il corpo) per frenare gli ardori di Lookman. Può invece creare preoccupazione l’infortunio di Mkhitaryan, il metronomo di Mou. A lui José ha consegnato la guida del centrocampo, e una possibile assenza dell’armeno nel ritorno potrebbe essere un handicap di non poco conto, a cui Pellegrini, Oliveira, Veretout e Cristante dovranno rimediare con passo e intelligenza.
Sottolineatura rossa e blu per Nicola Zalewski. Il più fresco d’età è anche il migliore. Sicuro, attento, sfacciato quando serviva, mai intimorito. Un’intuizione di Mou, fantastica. La meglio gioventù di Trigoria. Buon segno, anzi ottimo. Per la speranza immediata della Roma, ossia la finale di Conference a Tirana. Ma anche per un futuro già in evidente, avanzata costruzione. José ha le chiavi in mano del club. E il cuore pulsante del tifo romanista. Nella magia del feeling, c’è un traguardo concreto da centrare. Non è vicino, ma neppure così lontano. A portata di mano. E di testa.