ROMA - Quando prendi José - così come quando decidi di affidarti a Conte - per dirla alla Marotta, porti a casa l’intero pacchetto. Lo prendi per crescere in fretta e cominciare - o tornare - a vincere, non per un posto tra il secondo e il quarto. Lo prendi perché è un gran para... fulmine e sai bene che dovrai soddisfarne le richieste: Mou, come Conte, conosce la formula della vittoria: tanta qualità più personalità. Inoltre non puoi ignorare il fatto che i meriti, alla fine, saranno i suoi e le colpe dell’eventuale insuccesso, prevalentemente tue: è nel prezzo del pacchetto.
Pochissimi allenatori sono stati capaci di imporsi in Italia senza i giocatori “importanti”: il primo Conte (2011), ma è solo un esempio, aveva Buff on, Bonucci, Chiellini e Barzagli con dieci anni di meno (e, splendidamente organizzata, la Juve subì 20 gol in 38 partite); e poteva contare su Pirlo, Vidal e Marchisio. Capello riportò lo scudetto a Roma con Totti, Batistuta, Montella, De Rossi, Emerson, Samuel e insomma ai “tituli” si arriva con un’abbondante quantità di prime scelte.
O con i miracoli, che non accadono due volte. Quando i Friedkin assunsero il portoghese ci chiedemmo cosa l’avesse convinto ad accettare la proposta di una Roma “giovane e inesperta” che oltretutto navigava in acque tempestose. E non ci distrasse chi sostenne che Mourinho fosse da tempo in fase calante: anche al Tottenham non ebbe la possibilità di fare mercato, visto che il club aveva investito tutto sul magnifico stadio da un miliardo di euro. Mou insistette a lungo con Levy per alzare il livello poi, disilluso, alla vigilia della partita di Premier col Southampton programmata quattro giorni prima della fi nale di coppa di Lega col City, annunciò che non sarebbe ricorso al turnover, facendo irritare la società che gli aveva chiesto di risparmiare i titolari proprio in funzione della sfida con Guardiola. Il 19 aprile venne esonerato.
Dove voglio arrivare? L’1 a 6 con i norvegesi è un risultato inaccettabile e ingiustificabile, ma chi ha a cuore le sorti della Roma, rifletta sulle parole di chi, persi Dzeko e Spinazzola, parlò di mercato di reazione e nelle prime partite ha peraltro dimostrato di puntare su tredici giocatori. In un momento di crisi generalizzata come questo, dove la stessa Juve sta soffrendo la perdita di un fuoriclasse come Ronaldo e i ritardi di condizione di Dybala e l’Inter tenta con Dzeko e Dumfries di non far rimpiangere Lukaku e Hakimi, non servono sforzi ciclopici per rendere competitiva la Roma (a proposito: quando si ha poco da investire, occorre mettere i soldi nei posti giusti evitando operazioni alla Reynolds).
Conte ha lasciato l’Inter quando ha avuto la certezza che non ci sarebbero state le condizioni per migliorare la squadra. Mou non si arrenderà, più facile che si pieghino gli americani. Accontentandolo. Aggiungo che Mou non ha bisogno di un mental coach, come suggerisce la senatrice Binetti, e non spara mai a capocchia: ai tempi dell’Inter, dopo una sconfitta a Bergamo, si rivolse così ai suoi: «Il primo scudetto l’avete vinto in segreteria, il secondo senza avversari. Il terzo all’ultimo minuto. Siete proprio una squadra di merda».
Innumerevoli sono gli episodi in cui ha attaccato in pubblico squadra e singoli, ricordo Vitor Baia, Joe Cole e Carvalho, Balotelli e Arnautovic, Pedro Leòn, Casillas, Ramos, Pepe, Ronaldo... Qualcuno suggerisce - o addirittura pretende - di far pagare la figuraccia ai calciatori già frustati da Mou nel dopo partita ma sono sicuro che José ne difenderà (almeno in privato) la sprovvedutezza. Per conquistarne la fiducia. E mantenerne una valutazione decente per quando li manderà a quel paese. Crescere una squadra richiede molta pazienza. Soprattutto da parte della squadra.