Conte, il capofamiglia

Leggi il commento del Direttore del Corriere dello Sport-Stadio
Ivan Zazzaroni
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Ci vuole tanta energia per essere Antonio Conte. Serve energia per assumersi la responsabilità totale della squadra. Serve per avere sotto controllo tutto e tutti, dal centravanti al cuoco, al magazziniere, agli angoli più remoti del centro sportivo. Serve per tenere sempre alta la concentrazione e non farsi scavalcare nella gestione di uomini e situazioni. Qualche tempo fa Fabio Paratici - tre anni insieme alla Juve e due al Tottenham - mi disse una cosa che non ho dimenticato: «Con Antonio il direttore sportivo fa solo il direttore sportivo, si risparmia, non ha bisogno di sostituirsi occasionalmente all’allenatore nel rapporto con i giocatori, quando qualcosa non gira. La squadra è un tema di sua esclusiva pertinenza, lui è il capofamiglia riconosciuto dalla truppa». E allora lo immagino mentre chiede ai suoi cos’abbiano mangiato a colazione e a pranzo, di rientrare presto a casa, di fare sesso con moderazione.

Antonio è uno che annusa l’ambiente, ne percepisce rapidamente gli umori: ha una sensibilità quasi animalesca nell’individuare i caratteri degli interlocutori. Sul campo, poi, è tra i migliori al mondo.

Serve energia, tanta. Sono convinto che nell’ultimo anno al Tottenham sia stato proprio il calo derivato da tragedie che l’avevano colpito (la morte di Ventrone e Vialli) la causa principale di quello che molti considerano l’unico fallimento della sua carriera. Che fallimento non è stato.

Per parecchio tempo abbiamo pensato - giustamente - che desiderasse tornare alla Juve del dopo-Allegri, del quale ieri ha tessuto le lodi nel corso di una conferenza stampa perfetta sul piano della comunicazione, una chiacchierata che ha trasmesso serenità all’ambiente. Complimenti peraltro restituiti a distanza, visto che proprio Max ha ripetuto più volte che «è più semplice arrivare dopo Antonio perché lui ti lascia una squadra pronta per vincere».

Negli ultimi mesi ho scoperto un Conte più paziente e risolto, meno ossessionato dal giudizio degli altri, abilissimo nel governare pressioni e tensioni. Paziente e con le batterie di nuovo ricaricate dalla lunga pausa che si è concesso tra Londra e Napoli. Continua a vivere la sconfitta «come una morte apparente». Ma se così non fosse, non sarebbe più Conte.


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