Hamsik esclusivo: "Con Conte il Napoli può sognare. E su Osimhen..."

Simbolo e capitano della rinascita azzurra, lo slovacco celebra i 20 anni dell’era De Laurentiis: cos'ha detto
Fabio Mandarini
11 min

Ma rek Hamsik ha tagliato la cresta ma ha ancora un notevolissimo senso dell’inserimento e un immarcescibile fiuto del gol. «Parliamo ora, d’accordo, ti do dieci minuti». Scherza. E anche la risata è quella di sempre, inconfondibile, un pezzo di storia nella storia del Napoli di De Laurentiis. Ventenne bello e con il fisico bestiale da far felice Carboni. Ecco, tanto per capirsi: se Luca usciva con Silvia con la maglia del Bologna che indossava sette giorni su sette, Marek ha sfoggiato quella del Napoli per undici anni e mezzo. È arrivato bambino, con il borsello e i bermuda, ed è andato via capitano e leggenda. Hamsik è forse il vero simbolo dei primi vent’anni dell’era di Aurelio. «È un amico», dice. Non più soltanto il suo vecchio presidente. Pierpaolo Marino lo acquistò per cinque milioni e mezzo dal Brescia nell’estate 2007 e fino a febbraio 2019, il mese dell’addio e di una nuova vita in Cina, ha scritto il romanzo del recordman di presenze in assoluto (520), in Serie A (408) e nelle coppe europee (80), e poi è diventato il terzo cannoniere di tutti i tempi con 121 gol alle spalle di Mertens e Insigne. Lui, un centrocampista; loro, due attaccanti. Hamsik è speciale, è stato un fuoriclasse in campo e magari un giorno lo sarà anche in panchina. Sta studiando da Francesco Calzona detto Ciccio, il ct della Slovacchia, è un suo collaboratore tecnico: «Per me è un maestro, un modello e anche un amico». Quanti amici.

Declinare l’amicizia è bello. Partiamo da De Laurentiis.
«Abbiamo un ottimo rapporto umano e professionale».

Gli ha fatto gli auguri?
«È stato il suo compleanno?».

Non scherzi, abbiamo dieci minuti. È stato il compleanno della sua presidenza.
«No, non gliel’ho fatti, ma lo sa che gli voglio bene. Gli manderò un messaggio».

Il Napoli di Adl in un solo aggettivo.
«Non basterebbe. Penso che De Laurentiis vada solo ringraziato per quello che ha costruito partendo dal fallimento. Ha iniziato da zero e ha creato un club e una squadra vincenti, conquistando il terzo scudetto dopo Maradona. Dopo 33 anni. Merita solo applausi».

Lei era in campo quando il Napoli di Reja ha giocato la prima partita in Serie A: Napoli-Cagliari 0-2, 26 agosto 2007. Casualmente domenica il Napoli giocherà proprio a Cagliari.
«Non ho ricordi di quella sconfitta in casa, per fortuna non ce ne sono state molte. Speriamo che la prossima vada decisamente meglio».

Lei aveva 20 anni. Poi è diventato un simbolo.
«Quando sono arrivato ero un bambino, è vero. Sono felice che la società e la gente abbiano creduto in me al buio e che il mio nome sia finito accanto a quello del Napoli».

La Hit Parade della sua vita azzurra. Allenatore?
«Devo dire grazie a Reja per avermi lanciato, ma ho preso qualcosa da ognuno. Con Sarri, però, mi sono goduto il calcio più che con gli altri. All’epoca conobbi anche Calzona, era il suo primo collaboratore».

Giocatori: il compagno indimenticabile, il più forte?
«Eh, il Napoli ha avuto tanti campioni in questo periodo, ma se penso a uno che ispirava tutta la città e lo stadio, allora scelgo il Pocho. Lavezzi. È stato un onore giocare con lui, ci sentiamo spesso. Mi piace ricordare anche Zielinski, uno dei centrocampisti più forti del mondo».

Si parlava di Zielo come suo erede. Ora può esserlo McTominay?
«Sì, potrebbe, è un centrocampista offensivo che come me ama inserirsi e fare gol. Vediamo, dipende dal modulo. Però è un nome forte, l’ha dimostrato con lo United e in nazionale. Un valido cambio per Lobo e Anguissa».

Lobotka, un altro amico.
«Lui in questo Napoli è un intoccabile. Ha le chiavi del centrocampo».

E le chiavi della Slovacchia a chi appartengono?
«Mi ricorda un po’ il mio Napoli, ripensando agli ultimi due anni. Da dove siamo partiti: nessuno credeva in Calzona e lui invece ha zittito tutti. Ora siamo primi in Nations, veniamo da due buone vittorie e soprattutto da un grande Europeo: la sconfitta con l’Inghilterra agli ottavi brucia ancora, siamo tornati a casa consapevoli di aver messo sotto la futura finalista».

Calzona l’avrebbe voluto con sé, da collaboratore tecnico, anche al Napoli.
«Feci un’altra scelta, volevo restare con la mia famiglia e i miei figli. Volevo curare la mia Academy. L’esperienza con lui in nazionale, però, è fantastica: sto imparando tanto, lo seguo, apprendo. È un maestro, un modello e un amico insieme. Bravissimo anche nella gestione del gruppo. Sono felice dei suoi successi, ma Francesco non ci pensa e non si ferma mai. Non vuole fermarsi, solo migliorare».

Ovviamente tifa per il Napoli.
«Certo. Sempre. È parte di me. Ho ancora la mia casa a due passi dal centro sportivo, lo sanno tutti. Quest’estate sono andato e per una settimana mi sono goduto i miei amici, in relax, senza calcio».

E non le hanno chiesto di Conte?
«Inevitabile. Sono molto felice della vittoria contro il Parma: in rimonta, così, significa tanto. Darà una bella spinta».

Antonio Conte, dicevamo.
«Una scelta forte della società, un allenatore di enorme esperienza e di successo. Sappiamo tutti chi è e come lavora: è il nome giusto dopo la situazione che si è creata nella scorsa stagione. Bisogna ritrovare entusiasmo e grinta e con lui sarà più breve il percorso».

Intanto ha messo subito in chiaro le strategie: chi parte, chi resta, chi non si tocca.
«È fondamentale che siano rimasti pilastri come Di Lorenzo, Kvara, Lobotka, Anguissa. E poi il club ha fatto grandi sforzi sul mercato».

Un voto?
«Molto alto. Certo, dispiace per la partenza di Osimhen, ma forse attiene a cose diverse dalla parte calcistica. Comunque, non mi riguarda. E poi è arrivato un valido sostituto, mi pare».

Romelu, un ragazzo di belle speranze...
«Lukaku è un grande centravanti. Uno che può fare tranquillamente 20 gol».

Venti, come gli anni del Napoli di Adl. Un numero che ricorre.
«L’ultima volta che siamo stati insieme in città, prima di Napoli-Barcellona di Champions, mi ha detto che quando mi sentirò pronto, le porte del club saranno sempre aperte per me».

Dirigente o allenatore?
«Io mi vedo più allenatore, ho intrapreso questo percorso con i ragazzi appena ho smesso. Per diventare allenatore del Napoli, però, credo ci voglia un bel po’ di tempo ancora».

Erano bellissimi i tempi dei Tre Tenori: Lavezzi, Hamsik, Cavani.
«Già».

Un gioco. Un gioco un po’ cattivo: meglio i Tre Tenori o il tridente di oggi?
Ride. «Facciamo scegliere ai tifosi. Però, beh, se la guardo così, direi che scelgo i Tenori».

Hamsik-Kvaratskhelia, Marekiaro e Kvara, sarebbe stata una bella coppia: Marekvara. Le piace?
Ride ancora. «Molto, si. Kvara assomiglia un po’ al Pocho, credo che ci saremmo divertiti insieme. Avrebbe creato molti spazi per i miei inserimenti. Ci siamo persi un bel tandem».

Khvicha ha vinto lo scudetto al primo anno di Napoli, lei invece in oltre un decennio l’ha sfiorato arrivando a un millimetro. Un rimpianto?
«No, assolutamente, sono stato davvero felice che alla fine siano riusciti nell’impresa. So cosa significa per la città e per la gente. E questo non vuol dire che non lo vinceranno ancora».

Pensa che il Napoli di Conte possa essere un’alternativa all’Inter o addirittura vincere il campionato?
«Credo di si, ma ovviamente bisognare lasciargli il tempo di lavorare. La squadra è cambiata tanto, il percorso è cominciato ora».

Un rimpianto, però, lo avrà collezionato in quasi dodici anni. Magari un momento più brutto.
«Beh, facile: quando abbiamo perso lo scudetto con Sarri. Quel giorno a Firenze, chi lo dimentica. Anche il secondo anno di Serie A è stato difficile, dopo l’ottima stagione d’esordio».

Il momento più bello, invece?
«Tanti. Tantissimi. Ma forse la finale di Coppa Italia vinta con la Juve nel 2012: il primo trofeo dopo oltre vent’anni».

Venti nel destino. Christian e Lucas, i suoi figli aspiranti calciatori nati a Castel Volturno, hanno invece 14 e 12 anni.
«I ragazzi giocano entrambi nella mia Academy, sono bravi. Christian lo alleno io, personalmente: credo che tra un paio d’anni sarà pronto per un’esperienza all’estero».

Lo ha già consigliato al Napoli?
«No, non ancora, ma sarebbe bello vedere un altro Hamsik con la maglia azzurra. Bello, sì, mi piacerebbe».

La sua accademia si chiama “Rakytovce Sporting Club Hamsik Academy”. È a Banska Bystrica, la sua città.
«È la mia creatura. Abbiamo quasi completato la costruzione del nuovo centro sportivo: è una bella struttura, mi fa piacere lasciare qualcosa ai giovani della mia terra. Tra l’altro questo sarà un anno storico per l’Academy: siamo stati riconosciuti dalla federazione e dunque le nostre squadre giocheranno contro tutti. Anche contro i club di prima divisione. Sono orgoglioso».

Marek, deve essere orgoglioso an che del suo italiano: parla meglio oggi di quando viveva in Italia, sa?
«Sono sempre stato bravo, ma sempre di poche parole».

Come i pescatori. E i ciclisti: ha la stessa passione di Fabio Cannavaro, la bici.
«Vero, ma resisto meno di lui. Non pedalo per più di cento chilometri, mentre lui va oltre. E non perché non ce la faccia fisicamente, ma perché dopo un po’ mi fa male il sedere».


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