NAPOLI - Per molto meno, in un altrove, si ricorrerebbe all’impeachment, istituto che nel calcio non viene riconosciuto, soprattutto se il CdA è un affare di famiglia. Ma basterebbe mettere assieme i cocci di questi “tragici” otto mesi per rendersi conto che sta scadendo un tempo, che quell’uomo solo al comando non è più lo stesso - neanche la sua più pallida ed insospettabile controfigura - del De Laurentiis che in venti anni ha tinteggiato un’era con le sue visioni, mentre ora è rimasto il folclore. Convinto d’essere in possesso di poteri magici da poterlo trasformare in uno e trino, l’Adl post-scudetto ha frantumato non esclusivamente quel Progetto ch’è esistito e gli è appartenuto ma anche se stesso, le sue intuizioni, un vissuto che è scandito dai successi e da una opulenza economica dei bilanci che però diventa marginale: perché rimanendo in superficie, quindi evitando di scendere negli spogliatoi per urlare alle pareti cosa bisogna fare durante una partita, rientrano tra le proprie (in)competenze gli errori su Garcia, poi su Mazzarri, questa sgradevole commedia dell’arte - una triste sceneggiata - che ha condotto a Francesco Calzona proprio nell’immediata vigilia della sfida con il Barcellona, l’acquisto di Natan, la cessione anticipata di Elmas, il rinnovo ritardato di Osimhen e quello mai definito con Zielinski.
Niente nasce dal caso: non uno scudetto che appartiene ad un’epoca ancora “democratica”, con un dialogo semmai complesso ma fertile, un contraddittorio - tra Adl, Spalletti e Giuntoli - indispensabile per l’evoluzione e per l’apoteosi; né questo fallimento strutturale che però ha un solo padre (padrone) immerso nella propria centralità totalizzante che diventa nonsense, un paradosso che sommerge quello precedente e ne annuncia uno successivo.
Il Napoli è stato smontato, anzi demolito, pezzo su pezzo, e l’esercizio è risultato assai più semplice della costruzione di quel capolavoro che rimane come monumento alla memoria di un passato che pare irriproducibile: a febbraio del 2023, esattamente dodici mesi fa, in un’atmosfera piena di magia, una squadra dominava il campionato, diciotto punti di vantaggio sulle seconde, e sembrava avesse le stimmate per regalarsi un ciclo.
E ora, invece, in questa opacità sconfinata c’è il disagio per le dinamiche che hanno accelerato lo sgretolamento dell’Idea e lo smarrimento per gli effetti dannosi sul futuro, un gigantesco interrogativo sulla consistenza della Filosofia che verrà. Perché è chiaro che pure il più apparente dettaglio è accentrato intorno alle teorie più “eversive” di De Laurentiis, che radicato nelle proprie certezze ha lacerato quell’opera d’arte pure da se stesso allestita. E in quell’orizzonte, un ammasso di macerie che però sono avvolte dentro ad uno scudetto, è complicato scorgere una prospettiva incoraggiante - nuova o anche vecchia - che non venga bruciata dal Re Sole e dalla sua plastica convinzione che il «Napoli sia lui».