Ti …Ki…Ta…Ka… C’erano una volta il palleggio veloce, la costruzione dal basso, il dominio nel possesso palla, la precisione geometrica degli scambi. Adesso il Napoli, che pure vince e tiene il passo con il gruppo di vetta, è un’altra cosa. Un Tiki Taka rallentato, impreciso, prevedibile, che si spezza sul pressing avversario, perché non ha alternative tattiche, sovrapposizioni, smarcamenti adeguati. I tre punti di Salerno bastano a rassicurare chi ancora crede che questa squadra possa bissare la stagione dello scorso anno? La risposta alla domanda è no. Almeno la nostra.
Non ci sono rassicurazioni dopo aver visto il Napoli annaspare contro una provinciale modesta tecnicamente, immatura caratterialmente, senza un regista capace di esprimere una leadership. Anzi, se c’è una sensazione che la trasferta dell’Arechi ci lascia, è la preoccupazione che i limiti denunciati dagli azzurri non vengano affrontati per tempo. E che anche le prossime gare in casa contro Union Berlino e Empoli, con il prevedibile esito positivo, possano servire solo a nascondere il problema sotto la sabbia di tre vittorie consecutive. Salvo poi doversi bruscamente svegliare nel trittico terribile che, dopo la sosta, attende il Napoli contro Atalanta, Real Madrid e Inter.
Perché quei problemi ci sono tutti, a volerli vedere. E non sono piccoli. Se dopo il vantaggio, il Napoli rinuncia ad affondare e a tenere il controllo del gioco e si fa schiacciare da un pressing artigianale e raffazzonato come quello della Salernitana, se la costruzione dal basso risulta impossibile il più delle volte perché non c’è nessun compagno che riesca a sottrarsi alla marcatura a uomo degli avversari, se nei disimpegni e perfino in copertura difensiva si notano errori marchiani, se talenti assoluti come Kvaratskhelia regrediscono tatticamente o s’incaponiscono nella soluzione personale di fronte alla difficoltà di giocare di sponda, vuol dire che l’egemonia tecnico-tattica del Napoli scudettato è già in archivio. Contro squadre più attrezzate questi deficit si pagano.
Poi certo, c’è ancora Lobotka che s’inventa l’assist per Raspadori che vale il vantaggio, e ci sono ancora scampoli di ubriacanti percussioni che mostrano tutto intero il potenziale azzurro. E perciò suonano ancora più dissonanti di fronte a una conduzione di gara inaccettabile per una squadra di vertice. O almeno per il Napoli.
Dispiace suonare l’allarme come Cassandre, mentre la classifica pure autorizza ogni illusione. Però resta il fatto che i successi azzurri sono stati fin qui collezionati contro squadre di caratura molto inferiore, mentre contro le big il Napoli ha toppato, o al più ha acchiappato un pari. Da quanto si vede in campo, nulla, davvero nulla dice che questa fragilità non possa ripetersi di fronte ad avversari di rango. C’è da mettere mano alla tattica, ma soprattutto alla testa. Perché la squadra di Garcia non mostra una condizione atletica insufficiente, ma una confusione mentale e un disordine collettivo. Dietro i quali si legge in controluce lo smarrimento e il senso di solitudine di chi non si percepisca parte di un gruppo coeso che parla, calcisticamente, la stessa lingua.
Il tecnico francese si è irritato in conferenza stampa con il collega Antonio Giordano, che gli ha chiesto se i sette punti di distacco dall’Inter significhino una resa. A costo di farlo proprio arrabbiare, gli chiediamo se ha visto almeno una parte delle prime undici partite dello scorso campionato e se ha messo a confronto i dati dei match analyst di quelle gare con quelli di questa stagione. Siamo certi che il verdetto del gioco sarebbe più amaro di quello dei punti perduti in classifica. Questo per dire che chi ama il Napoli, e siamo certi che tra costoro ci sia anche Garcia, non può accettare che il Napoli giochi in questo modo.