Caro Ivan, non ti pare che adesso dovremmo dare a Khvicha ciò che è di Khvicha, cioè la “numero 10”? Condividendo con te la direzione del Corriere, che in questi giorni va a ruba nelle edicole e sul web come un irrinunciabile oggetto da collezione, e riconoscendo la tua più lunga esperienza nelle “cose” del pallone, ti chiedo di aderire a questa mia proposta, che mi piace condividere anche con i nostri amati lettori e con il Napoli. Ci sono tanti motivi per poggiare sulle spalle del gioiello georgiano quella maglia così simbolica, che pure evoca una stagione straordinaria di sport e l’incontro d’amore tra la città e un campione irripetibile. E dico irripetibile, perché voglio assicurarti che la mia idea non nasce da alcun paragone con ciò che è imparagonabile, per l’unicità sportiva e umana in cui è inscritta l’avventura di Diego in azzurro.
Come peraltro ho già detto commentando lo scudetto, questo successo nasce da un reset sportivo, cioè dal coraggio di dismettere, insieme con la leadership di Insigne, l’idea che i traguardi raggiunti da Maradona potessero ripetersi con protagonisti che, sia pure a un livello molto diverso, ne emulassero il gioco. Il fantasista di Frattamaggiore è stato una copia, ancorché non fedele, di Diego, e ha conquistato a suo modo il pubblico napoletano con una tecnica di scuola maradoniana. Kvaratskhelia di Maradona non ha nulla, né il fisico, né il mancino, né il modo di giocare, né il carattere. Ma oggi è, in modo del tutto originale, e tuttavia compenetrato con l’anima della città, il volto della bellezza di Napoli e del Napoli.
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Il gioioso presente del Napoli
È il genio che ha il privilegio dell’intuizione e la fantasia che ha il primato delle forme. Nell’imprevedibilità delle finte, nell’ubriacante barocco di certi slalom, nell’altruismo ispirato degli assist, mostra un’idea che somiglia un universo estetico, in cui ciascun napoletano trova naturale identificarsi. Se pure lo scudetto è portato in spalla da molti, se il lavoro di Spalletti può dirsi straordinario, se il contributo di Osimhen, Lobotka, Kim e Di Lorenzo non è stato da meno, tuttavia niente sembra in grado di regalare emozioni di felicità quanto la sublime estetica del ragazzo georgiano.
La maglia che, in tutti i tempi e in tutte le squadre del mondo, incarna anzitutto la leadership della bellezza del calcio, gli starebbe sulle spalle a pennello. Racconterebbe il gioioso presente del Napoli, senza oscurare né profanare il passato, peraltro protetto da un mito che la città conserverà sempre nel cuore e a cui ha intitolato il nome dello stadio.
Oggi inizia un’avventura nuova e inedita, che merita di legittimarsi e stabilizzarsi nel racconto e nei simboli. Il caso vuole che il suo artefice più rappresentativo giunga da un Paese lambito dalla guerra e insieme volto verso l’Europa accogliente e solidale, di cui Napoli è naturale agorà. Kvhicha ha appena ventidue anni, tanto talento e legittime ambizioni di affermarsi in un mercato dove i petrodollari rischiano di contare, o già contano, più dei numeri di maglia. Consegnargli la “10” sarebbe un modo per fargli capire che l’ingaggio azzurro può valere quanto una fede. Spero che tu, Ivan, condivida queste riflessioni e voglia fartene allo stesso modo promotore verso la città e il club. Quanto al Pibe, il cui altruismo e la cui generosità erano e restano una virtù universale e senza tempo, mi piace pensare che da lassù approverebbe.