C ’è un passaggio nel ragionamento di Aurelio De Laurentiis che non si può non condividere: è inaccettabile che grandi aree di spazio pubblico vengano monopolizzate da gruppuscoli, che con una logica intimidatoria, e talvolta violenta, impongono la loro signoria. Per essere più chiari, è inaccettabile che gli ultrà ordinino ai tifosi di un’intera curva una protesta contro il presidente e aggrediscano chi rivendica il diritto di sostenere la squadra. Era già accaduto a Milano, il 29 ottobre scorso durante Inter-Sampdoria, quando i leader della Nord imposero lo svuotamento degli spalti per commemorare la morte del capo ultrà Vittorio Boiocchi, ucciso poche ore prima in un agguato. È in questo caso che la subalternità dello Stato a un’autorità non legittimata certifica la violazione di un basilare principio di legalità. Ma riprendere il controllo del territorio è più difficile di quanto non sembri a parole.
Militarizzare gli stadi
Poiché l’idea di militarizzare gli stadi, presidiandoli con cospicui contingenti di polizia, oltre che esteticamente inguardabile, non sarebbe priva di prezzi alla libertà collettiva. Trasformerebbe un luogo di spettacolo in un’area assediata, negando alle emozioni quella libera condivisione che è condizione essenziale per ogni autentica passione sportiva. De Laurentiis invoca i metodi di Margaret Thatcher, ma per estirpare la violenza dagli stadi non servono rimedi emergenziali, leggi speciali o nuovi reati. Serve piuttosto una strategia, cioè un piano che abbia l’obiettivo di riportare quelle zone franche nella legalità, un’attività investigativa condotta con i mezzi che già esistono, ma scrupolosa e continua, capace attraverso il controllo delle telecamere di identificare, isolare e interdire allo stadio tutti coloro che minacciano la libertà altrui, un coordinamento costante tra le autorità di pubblica sicurezza, i club e le associazioni dei tifosi, un presidio selettivo delle aree più esposte al rischio di un controllo illegale, come le curve, per impedire che chi entra nello stadio prenda possesso di un territorio percepito come proprio.
Le persone identificate
Dietro i tumulti di domenica al Maradona ci sono settecento persone, identificate in un gruppo ultrà che agisce come una falange militare. È inaccettabile che settecento persone dettino le loro condizioni a sessantamila tifosi, desiderosi unicamente di assistere allo spettacolo. Sorvegliare e disarticolare queste aggregazioni settarie e potenzialmente violente è possibile attraverso un’azione di prevenzione che però deve essere costante, e non solo successiva all’esplosione della violenza. Poi, certo, occorre investire nella costruzione di una comunità, senza la quale, peraltro, nessun successo sportivo può diventare ciclo, cioè egemonia. La memoria del primo scudetto festeggiato in mare, al largo dalle pressioni di una piazza controllata dalla camorra, è un fantasma che può indurre qualche reazione inattuale. Ma Napoli oggi è un’altra città, il dialogo tra la società e i tifosi è un dovere imprescindibile. Tutti sanno che il tricolore, se arriverà, non pioverà dal cielo ma sarà il frutto di investimenti rilevanti. Perciò la politica dei prezzi non è una leva per estrarre rendite, ma il presupposto per garantire competitività su un palcoscenico europeo, dove è giusto ed è auspicabile che il Napoli reciti con stabilità. Il vulcanico presidente lo ha spiegato a modo suo, forse con un pizzico di orgoglioso distacco, ma con parole di verità. Chiunque voglia il Napoli in cielo deve spingerlo anche un po’ con le sue ali. Però novanta euro per un biglietto di curva sono uno sforzo che sopravanza la sostenibilità di molte famiglie. Un compromesso si può, si deve trovare.