Dopo aver distribuito emozione per 228 giorni, ivi inclusi i riposi, ed essersene stato rinchiuso nell’eremo di Castel Volturno ad elaborare formule magiche, ora che s’avvicina quel dì, e c’è il sano sapore dell’euforia, l’unica certezza è proprio nell’assenza stessa della certezza: il Napoli che t’aspetti, 4-3-3, è nella sua forma e anche nella sua sostanza eguale a se stesso, a quel manifesto dell’anima che ha dissetato gli esteti, però in quest’ora e mezza che sa di tanto, certo mai di niente, Luciano Spalletti prova a sistemare qualcos’altro di suo, fosse anche una sola mossa per disorientare il diavolo. Per un anno e mezzo se le sono date di santa strategia, un calcio sempre cerebrale e rimodellato ad uso e consumo di quell’appuntamento: andrà così pure stavolta, in una partita in che fa da ouverture per la Champions e dovrà però esserlo pure per la «celebrazione» dello scudetto. Il metodo-Spalletti ha codici fissi e variabili che sfuggono alla propria normalità, non c’è un calcio monotematico, c’è l’esigenza del ritmo e quella del palleggio, il richiamo di impadronirsi delle linee e la volontà di darsi ampiezze, un trasformismo innato che va oltre Osimhen o al di là di Lobotka e Kvaratskhelia, le lampade del genio che Pioli vorrà oscurare.
La trazione
Il Napoli è (ri)nato costruendo dal basso, uscendo nelle sue svariate scelte, trascinando gli esterni dentro al campo per avere superiorità, e comunque non si è mai negato la propria personalità: l’unico vero dubbio, in questi otto mesi abbaglianti, se lo è sempre portato sulla corsia di sinistra, consegnata a Mario Rui o ad Olivera, amichevolmente antagonisti di un braccio di ferro utilizzato per ritoccare la propria natura. Le Nazionali hanno costretto l’uruguayano a spostamenti faticosi ma Napoli-Milan si giocherà domenica sera, Olivera è a Castel Volturno da ieri e contro la Corea del Sud se n’è stato in panchina: la candidatura rimane inattaccabile, e non solo perché serviranno centimetri su quelle palle inattive che al Milan servono per «scatenare» Giroud, Kjaer e Tomori (o chi per loro). Ma la corsia è ancora da assegnare, Mario Rui si è rilanciato, dopo l’espulsione di Empoli, con la prestazione con l’Eintracht, ha ribadito la propria familiarità con quel sinistro ad uncino, che cattura il pallone, lo «lavora», lo pettina, e sa di poter essere un fattore.
La conversione
E poi, come da sempre, ci sarà da dare una sbirciatina a destra, ma in attacco, perché altrove tutto sembra (apparentemente) deciso: Politano arriverà al «Maradona» con una settimana d’allenamento, avrà con sé quella freschezza che ha dimostrato d’aver ritrovato dopo un periodo di appannamento, e però sarà pure consapevole dell’atletismo di Theo Hernandez, il dirimpettaio, già affrontato (per ‘66) all’andata e nella stagione scorsa (per 67') a Napoli. Lozano qualche goccia di acido lattico potrebbe avvertirla nei muscoli, dà l’impressione di poter offrire nel finale, con i suoi strappi, soluzioni più ardite, semmai persino più decisive. Tu chiamale, se vuoi, sensazioni.