I calciatori bisogna che stiano attenti, perché il tempo passa una volta sola, dice Spalletti, portando ad esempio i suoi sessantaquattro anni di vita e di calcio senza che una congiuntura simile, scudetto e Champions a portata di mano, sia mai capitata. Che messaggio vuol mandare il visionario leader dello spogliatoio azzurro? Il lettore ci perdoni se proviamo a spiegarlo con una figura retorica un po’ criptica, ma utile a mettere a fuoco l’unicità del fenomeno.
Egemonia alchemica
Ciò che tiene il Napoli in cima a tutto è un’egemonia alchemica. Egemonia perché non si fonda solo sul primato in classifica ma racconta un dominio incontrastato delle idee in campo, cioè della tattica, della tecnica per tradurle in trame di gioco, dell’agonismo per imporle e difenderle. Alchemica perché è frutto dell’insondabile equilibrio tra ingredienti diversi che, combinandosi tra loro, moltiplicano il loro stesso valore in una proporzione che supera l’aritmetica e la logica.
Spalletti, bonaccia della virtù
Per tradurre questa concettuosità in esempi concreti e comprensibili, Spalletti vuol dire che: Osimhen, Kvara, Kim, Lobotka, Di Lorenzo e Zielinski sono sì, sei pezzi da novanta, il resto della rosa è complementare al loro valore, gli schemi del tecnico esaltano la loro dotazione tecnica individuale, lo spirito di gruppo cementa l’intesa, ma tutte queste cose insieme non basterebbero a fare un’egemonia senza una sorta di bonaccia della virtù, capace di stabilizzarle e renderle sinergiche. Questa bonaccia della virtù, vuol dire Spalletti con matura coscienza della finitezza umana, è un ingrediente del caso, cioè è una combinazione che non dipende solo dalla bravura e dalla buona volontà di ciascuno. È appunto un equilibrio alchemico, che si produce per tentativi intuitivi e solo in alcuni casi si stabilizza producendo una sequenza così lunga e continua di vittorie, senza che una saltuaria sconfitta – due in campionato e una in Champions – spezzi l’egemonia del gioco.
A Sarri mancò la giusta combinazione
Si può chiamare carattere, per intendere una fenomenologia che si specchia in una particolare reattività della squadra di fronte alle circostanze avverse, consentendole di rovesciarle in positivo. Ma l’umiltà dei suoi sessantaquattro anni senza vittorie consegna a Spalletti una verità: il carattere di una squadra è solo in parte riferibile alla somma dei caratteri individuali, e cioè al patrimonio di coraggio e di esperienze. È la irripetibile mescolanza tra caratteristiche personali che, in un dato momento, storico, può moltiplicare tra loro i valori dei singoli. Il Napoli di Sarri ha sfiorato l’egemonia, ma non è mai riuscito a stabilizzarla. Non solo per un’inferiore dotazione tecnico-agonistica – per fare solo un esempio, nel 2015 Higuain segnò 36 gol e l’anno successivo Mertens si fermò a 28 – ma perché la combinazione tra i diversi elementi non produsse l’equilibrio necessario.
Il tempo da non lasciarsi sfuggire
Quello di Spalletti ai suoi fortunati ragazzi è un messaggio da non lasciar cadere. Il tempo in cui tutto si dispone nella maniera migliore può anche non passare mai nella vita di uno sportivo. Se accade anche una sola volta, è un’occasione da non perdere. Lo scudetto e la Champions vanno incontro alla bonaccia della virtù in poco più di due mesi. Da questo momento si alza il livello della concentrazione: ogni gesto e ogni parola devono evitare che una maligna soffiata di vento scompagini l’equilibrio magico raggiunto. Ne va della carriera di un gruppo e della gioia di molti.