Si può dire che sembra Diego, anche se Diego non è? Per caso, qualcuno si offende? Si può, si può. Osservalo, Khvicha, quando a due terzi di gara riceve da Osimhen una palla sulla tre quarti. Mimetizzate tra la barba di un post adolescente, scorgi l’inquietudine, la creatività, la responsabilità di colui che sta, sempre, nella memoria di tutti i napoletani.
Kvicha si prende sulle spalle il Maradona
In quel preciso momento il georgiano sa che tocca a lui, e solo a lui, bucare la rete elastica di Gasperini, fatta di asfissianti raddoppi di marcature. Prende sulle spalle il Maradona con tutti i tifosi che stanno dentro e lo scuote, ora di qua e ora di là, in mezzo a un nugolo di gambe atalantine. Che alla prima finta sbandano, alla seconda barcollano ubriache, alla terza provano a mettere tra lui e la porta brandelli di carne, ma non hanno più il controllo dei muscoli, perché la serpentina di questo ragazzo indiavolato sposta i loro corpi in una direzione sempre opposta al pallone. Potrebbe tirare subito, ma Khvicha non ci pensa neanche di azzardare un diagonale di sinistro. Potrebbe tirare alla seconda virata, ma ha ancora, nella visuale, una resistenza umana che si frappone tra la sua sagoma e quella di Musso. Lui avanzerà fino a quando il suo slalom non diventerà un vortice che scompagini ogni geometria e spazzi ogni ostacolo. Solo allora scaglierà la palla in rete con tutta la forza che ha. Perché è un predestinato, e non è scritto che possa fallire. È accaduto qualcosa di magico nell’ovale di Fuorigrotta, ma da queste parti il magico può confondersi con il sacro e fare di un prodigio la prima pietra di una fede incrollabile. Il gol di Kvaratskhelia è un rito di immedesimazione. Tra il campione, che riporta a Napoli la certezza della gioia dopo lo stop con la Lazio, e il popolo che si consegna a lui nell’adorazione. Quanto intenso sia il legame che nasce lo dice la rabbia di Osimhen per la sostituzione, giunta prima che il nigeriano possa eguagliare il miracolo. La gelosia è un’emozione inconfessabile in una famiglia vicina al trionfo. Ma c’è, come un’energia supplementare o piuttosto come una ruggine perniciosa. Toccherà a Spalletti spiegare a Victor il senso della diversità, antidoto contro la ferita narcisistica del confronto. Lui dovrà contentarsi di essere uno dei più forti attaccanti europei, l’atleta che con i suoi gol può portare lo scudetto e, chissà, qualcos’altro. Ma Khvicha resta un’altra cosa. Khvicha è iscritto nella storia della bellezza come una venere pompeiana.
Kvaratskhelia sembra Diego
Certo, il Napoli è molte cose. Tutte belle. Sul piatto della bilancia il tempismo perfetto di Kim vale quanto la prodezza del georgiano, se non di più. E che dire della magistrale regia di Lobotka, dell’inesausta energia di Anguissa, dell’ubiqua fantasia di Zielinski. Da solo, Khvicha, non potrebbe, al più, che stupire. Ma, in mezzo a questa stupenda comitiva, sembra Diego. Sembrare ed essere non sono la stessa cosa. L’accostamento non toglie unicità alla memoria, ma non è più una profanazione. E siamo certi che, se il Pibe potesse vederlo giocare, lo penserebbe anche lui.