NAPOLI - Si può fare in fretta a scivolare nella retorica più cieca ed infilarsi, in una chiacchierata “sociologica” da salotto, a confondere Napoli con l’arte di arrangiarsi: ma osservandola dalla fessura per gli occhi della maschera di Osimhen, e scrutando nella creatività d’una città talvolta senza limiti, si può persino scorgere la creatività di uomini impegnati a sorridere al giorno. In quell’idea che nasconde gocce di presumibile genialità, che incolla il nulla al proprio mondo, lo Zorro del calcio - che non ha un Bernardo al proprio fianco ad assecondarlo e a sostenerlo - c’è il senso pieno dell’ironia, una buona dose di spudoratezza e certo pure l’esigenza d’inventarsi (in leggerezza) il domani. Il marketing 3.0 di una Napoli che se ne sta con le dita a sfogliare il calendario per capire come, dove e quando liberare se stessa e consentirle di abbattere qualsiasi vincolo scaramantico, somiglia e mica vagamente a quello 2.0 forse pure a quello 1.0, è il tratto distintivo d’una intelligenza più artificiosa che artificiale e comunque sa d’industrioso che si trasforma apparentemente in “industriale”, una fabbrica del genio che va incontro alla quotidianità, prendendosela tutta per sé.
Osimhen, il padrone del merchandising
L’Osimhen di oggi è - per il momento - il padrone del merchandising “alternativo”, una sorgente assai laterale all’universo legale, però diventa un effetto che vuole solleticare, quasi lusingare, il sentimento, non rientra tra le “patacche”, né sfiora il falso d’autore. In queste intuizioni che germogliano aspettando la festa, c’è quasi un modo per solleticare l’anima, per sprigionare l’allegria, per accomodarsi pure a tavola, con la torta di Osimhen (ma pure l’uovo di Pasqua, Osimhen; e il mojito Osimhen), che fa il verso a ciò ch’è stata la pizza di Diego o a cosa sarà di nuovo - ahinoi, lasciate perdere - alla bomba Kvara, quello sì un pericolo di cui se ne può fare tranquillamente a meno, anzi si deve rigorosamente ed eticamente, perché sennò poi saremmo al cospetto di un’altra storia, altrimenti pure parecchio pericolosa. Il “pezzotto” non è questo, e si sa, e Osimhen usato a mo’ di “travestimento”, con quella specie di costume (?) che si racchiude in un pezzettino di stoffa, in fin dei conti non fa male a nessuno, è una spruzzata di possente inventiva che appartiene al codice genetico stesso di Napoli, è nel suo albero genealogico, si può confondere con il folklore e magari no, quella diventerebbe una via di mezzo tra il populismo a tanto al chilo e il luogo comune secolare. In fin dei conti, pure alzare il tasso di glicemia non è reato, è un divertissement che va ad imbandire l’attesa, la riempie di un pizzico di glucosio, che volendo, riuscendo a non far male all’economia e né sviluppando il sommerso, può essere ingerito tirandosi su la maschera per azzannare la torta di Osimhen e sperare che non arrivi all’improvviso il sergente Garcia. Perché a quel punto potrebbero scattare seriamente le forchette
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