La bellezza feroce

Leggi il commento sul Napoli di Spalletti di Cristiano Gatti
La bellezza feroce© LAPRESSE
Cristiano Gatti
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Adesso Napoli e il Napoli non devono cadere nell’errore, un visto e rivisto in altri luoghi e in altre storie, di montare quel tanto di boria per tenere a debita distanza i clamori e gli ammiratori. La tentazione di tirare fuori subito l’orgoglio, di non dimenticare certi torti, certe diffidenze, certi scetticismi, è umana e naturale, ma è proprio questo il momento di soffocarla in culla. Napoli e il Napoli aprano le braccia, spalanchino le orecchie, e facciano il pieno degli applausi, dei riconoscimenti, dei superlativi. Non capita tanto spesso, nella vita: saggezza impone di sapersi godere gli attimi fulminei della felicità. E se a qualcuno prudono le mani per selezionare a mani nude chi sta salendo sul carro del vincitore, buttando giù furbini e opportunisti, lecchini e ipocriti, anche questa è una pulsione da rinnegare. Si prende tutto, quando il vento spinge alle spalle, non è proprio il caso di mettersi a fare selezioni, distinzioni, esami del sangue.  

Ammirare questo fenomeno azzurro, trent’anni dopo l’altro, è un piacere diffuso, inclusivo, trasversale e carichiamoci sopra tutto il resto del politicamente corretto, senza distinzioni di sesso e di razza. Questo Napoli è di tutti, anche se è prima dei napoletani, che questa creatura l’hanno sognata, cullata, cresciuta. Ma ora è il momento di lasciarla andare, perché si è fatta grande ed è pronta per andare in qualunque luogo, in qualunque situazione, in qualunque momento senza portarsi dietro lo scudo domestico. Il Napoli va oltre Napoli, va oltre la serie A, ha già sconfinato all’estero senza pudori e tremori provinciali, seminando anzi il panico in tante piazze del bel mondo europeo.  
E comunque. Dopo la manita manata che ha lasciato l’impronta del rossore sulle guance della flaccida Signora, il rischio da correre per chi non è di Napoli è salire sul carro del vincitore assieme alla massa degli adulatori e dei conformisti. È il minimo. Personalmente voglio fare outing senza tanti giri di parole, prendendomi tutti i rischi del caso: sono un tizio del Nord che ama Napoli e i napoletani da tanto tempo ormai, da quando ci ho fatto il servizio militare, da quando poi ho seguito l’epopea di Maradona (e Ferlaino e Bianchi, non li dimenticherei tanto sbrigativamente), da quando ci ho passato vacanze indimenticabili, ma adesso come adesso mi ritrovo napoletano perché Napoli e il Napoli stanno piazzando lo spot di un modo d’essere che scaravolta se Dio vuole tante certezze fossili di questa nostra piatta repubblica sportiva. Ma sì, parlo di quell’idea dogmatica e prepotente per cui vince chi è cinico, concreto, calcolatore. L’idea cioè che la vittoria non consenta divagazioni, tanto meno avventure, men che meno perdite di tempo estetiche. Quante volte, qui in Italia, noi italiani abbiamo sublimato la vittoria brutta, la vittoria col braccino, la vittoria a corto muso. Il massimo del nostro piacere fisico è la vittoria al 96’ su rigore, magari pure questo sgraffignato in qualche modo. Tutto questo ci permette di partire con l’apologia della squadra solida, matura, sadica. La grande bruttezza come scorciatoia sicura verso l’unico valore ammesso, articolo uno della costituzione, il risultato.  
E la bellezza? Ma cosa vuoi, la bellezza se la tengano gli idealisti, gente senza spina dorsale, questi sognatori che girano a vuoto e se la raccontano, questi mollaccioni che non hanno capito come gira il mondo, belli e bravi, sì, ma hanno mai vinto qualcosa, i teorici che preferiscono giocare bene? Giochino bene, giochino pure, poi a maggio si vede chi porta a casa il trofeo.  
Qui arriva in un fragore di gol il Napoli di Spalletti, che con il grande respiro della bellezza riesce a piazzare la sua magnifica eresia. La grande bellezza è possibile, la grande bellezza fa anche risultato. E’ una grande bellezza cattiva, crudele, spietata, che non perde tempo davanti allo specchio, che non gioca al gioco di Narciso, ma va dritta a bersaglio, sbaraccando le diffidenze e gli scetticismi di questo mondo troppo grigio e troppo mediocre, sempre più incapace di maturare un gusto raffinato e selettivo, sempre più incapace di distinguere la roba bella dalla roba qualunque. Nel piattume generale, finalmente riemerge qualcosa di veramente diverso e realmente prezioso, una cosa – una squadra, un modello – diversa da tutto il resto, una spanna sopra nei risultati, ma prima ancora due spanne sopra per la qualità.  
Se il Napoli deve aspettare qualche mese per allegare la pezza d’appoggio del trofeo, già oggi può esibire il primo risultato acquisito: vincere giocando benissimo è dimostrabile, giocare benissimo vincendo è possibile. Alla faccia della concretezza e del calcolo, che hanno sempre cercato di convincerci a non sprecare tempo con le stramberie dello spettacolo e del divertimento. Non è da oggi che questa cosa mi consola, non solo nello sport: la bellezza sa essere forte, dura, tenace. Basta guardarlo per capire tutto: il Napoli è il capolavoro della bellezza feroce. 


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