Sarebbe un Roma-Napoli pacatamente simile a tanti altri se non ci fosse quel cigno nero sul bordo del campo. Khvicha Kvaratskhelia, leggero e incombente, concreto e barocco, è la variabile che imbroglia i calcoli e rende irrazionale l’equazione. Senza di lui, Mourinho avrebbe trascorso una notte molto più rilassata e Spalletti anche: ciascuno dei due sicuro della propria visione tecnica, saldo nei principi, impermeabile al dubbio. Da parecchio Roma e Napoli quando s’incrociano riescono a emozionare se non a divertire, percorrendo i propri binari, gli azzurri lucrando sull’eredità di Sarri investita nella qualità estenuante - per gli altri - del palleggio, come sottolineò Spalletti quando insegnava dall’altra parte: «Quel parlottare fitto con il pallone non glielo togli, non c’è nulla da fare». I giallorossi, invece, impostati su una verticalità insistita che un tempo si disegnava lungo le traiettorie decise da Totti e si è in seguito riprodotta in varie forme di allenatore in allenatore. Ma oggi c’è Kvaratskhelia, non certo l’unico elemento nell’alchimia di Spalletti, di sicuro quello determinante, l’ingrediente che innesca la reazione esplosiva. Uno che ha creato 20 occasioni, ha effettuato 15 dribbling vincenti, ha tirato nello specchio 12 volte e ha segnato 5 gol in poco più di un quarto di campionato.
Questi sono i numeri, il piacere dell’occhio li precede e l’effetto deterrente e preventivo sui nervi degli avversari del Napoli segue da vicino. Mourinho la butta sul ridere, il che per lui significa prendere la faccenda molto sul serio. Nella sua dialettica simbolica quasi ogni frase divertita nasconde un sottofondo. «Se mi passa vicino, magari gli do un calcio» significa esattamente ciò che sembra, ma pure aver colto il punto fondamentale: circoscrivere, non diciamo azzerare, Kvaratskhelia non è compito per uomini soli. A parte il fatto che non dispone di un Gentile da applicare al Maradona di turno. Davanti al cigno nero, e magari anche dietro, servono una rete flessibile e un congruo piano tattico. Roba da allenatori più che da mastini. Così, li immaginiamo Mourinho e Spalletti nella lunga notte appena finita. Quello a valutare se Zalewski possieda il passo e la personalità necessari a costringere Kvara in zone isolate del campo oppure se non sia meglio avvolgere il georgiano di difensori di professione come Karsdorp e Mancini, con un mediano comunque nei paraggi a rafforzare il posto di blocco. Questo, Spalletti, a tentare di immaginare ciò che immagina il collega e a scavare mentalmente canali alternativi attraverso i quali far fluire il gioco approfittando della superiorità numerica che Kvaratskhelia in ogni caso assicurerà.
Dar loro suggerimenti sarebbe presuntuoso. A Mou rode quando si sente definire difensivista, e d’accordo, diciamo solo che è avvezzo a intrappolare gente tipo Messi, come fece quella volta nel 2010 circondandolo con Zanetti, Thiago Motta e Cambiasso. Messi peraltro era giovane e già universalmente noto. Kvaratskhelia è più giovane e ancora un enigma. Nessuno è in grado di mappare la profondità del suo talento e la vastità del suo impatto. Intanto eccoci qui a parlare di lui, come se non ci fosse intorno una partita intera da guardare.