Non c’è Osimhen e semplicemente si gioca palla a terra. Si passa in verticale triangolando stretto, oppure si affonda sulle fasce allo stesso modo. Che cambia? Nulla. Il Napoli sfonda il muro del Torino, vince, dà spettacolo e va in fuga con pieno merito. Ma soprattutto dimostra che può giocare in almeno tre modalità diverse, senza perdere incisività. Può palleggiare stretto e affondare negli ultimi trenta metri con un guizzo, può distendersi nel contropiede classico, oppure può saltare tra le linee verticalizzando gli scambi, come ha fatto ieri. Il camaleonte Spalletti adegua il modulo all’avversario come nessun altro tecnico di serie A riesce a fare. Certo, dalla sua ha il centrocampo più duttile e più completo del campionato, con un regista alla guida che ha mobilità, visione, tecnica e carattere come pochi.
Però non è un caso che i migliori del Napoli siano sempre diversi, a conferma di come la disposizione tattica sia lo spartito che guida l’orchestra. Ieri è toccato ad Anguissa, a Kim e Lobotka di giganteggiare tra le imballate linee granate, disarmare il pressing che con cura Juric aveva preparato. C’è nel gioco azzurro una semplicità che è frutto di alta sofisticatezza. Il Napoli somiglia a uno straordinario spaghetto al pomodoro e basilico, il piatto solo apparentemente più facile nel menù di un grande chef. Perché per sorprendere occorre, oltre alla materia prima di alta qualità, che non manca, la misura delle proporzioni, il sudore non eccessivo dell’aglio, il giusto tempo del basilico, la cottura più che al dente e la misura del peperoncino. È molto più difficile un buon piatto di spaghetti al pomodoro che un risotto pieno di sapori, dove è più facile mascherare un difetto della qualità nell’abbondanza degli ingredienti. Ecco, per tornare a Spalletti, si tratta di un chef stellato che finora ha riscosso meno di ciò che avrebbe meritato. Non è un caso che alla sua tavola si incominci a fare la fila per un posto a sedere, dopo anni in cui il Maradona sembrava la piana desertificata di Cartagine dopo che Scipione l’Africano ci cosparse sopra il sale.
L’anno scorso il Napoli regalò agli avversari cinque delle diciannove partite in casa, facendo molto meglio in trasferta, dove perse solo due volte. Nei primi otto turni di quest’anno il ruolino di marcia segnala un equilibrio straordinario: tre vittorie, un pareggio e nove gol segnati tanto dentro quanto fuori. A ciò si aggiunga la continuità di rendimento tra i paletti della Champions e le soste del campionato: dopo due settimane di stop gli azzurri, riapparsi al San Paolo, sono rientrati in campo con la stessa determinazione con cui sono usciti vincenti da San Siro contro i campioni d’Italia.
Certo, ieri di fronte avevano un Torino mediocre, ancorché ruvido e tignoso, come nello stile del club e nella cifra professionale del suo tecnico. Ma la caratura professionale dell’avversario non è più determinante contro un Napoli capace di imporre in un modo o nell’altro la sua egemonia creativa e tattica. Il fatto che questa squadra sia il vero fenomeno del campionato, non vuol dire che Spalletti abbia già in tasca lo scudetto. Ma certamente induce tutti, giocatore, tecnici e società, a tenere a bada i fantasmi che da queste parti hanno scombussolato più volte i sogni del Napoli. Mai come oggi sopra il Vesuvio brillano «Cieli azzurri», per dirla con il titolo di una celebre aria dell’Aida di Verdi che la star della lirica mondiale Anna Netrebko eseguirà sabato al San Carlo in uno storico concerto. Sono giorni speciali, questi, per Napoli: la bellezza sembra ricomporsi in affreschi sublimi nei templi del calcio e della musica. Esserci è un’occasione irripetibile.