C’è sempre il marchio di Spalletti

C’è sempre il marchio di Spalletti© LAPRESSE
Alberto Ghiacci
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Oltre il fenomeno Kvara. Oltre la completa maturità fisica e tattica raggiunta da Zielinski. Oltre il gol del Cholito al Maradona, roba di cui a casa Simeone si parlerà per sempre. E anche oltre la crisi di identità e risultati che la scuola italiana vive da anni. Luciano Spalletti è il vero artefice del capolavoro Napoli: sul 4-1 al Liverpool c’è, nitidissima, la sua firma di grande allenatore. Di chi - lo abbiamo osservato a lungo con i nostri occhi a Trigoria nel lontano 2005 - insegna calcio sul campo da circa trent’anni. Calcio vero: movimenti ripetuti mille volte, paletti piantati a terra, distanze da conoscere a occhi chiusi, triangoli sui lati, sia off ensivi sia di uscita dal pressing. Tutti i giorni, senza sosta, con passione e sudore. Poi corsa, rispetto reciproco e anche sorrisi.

Spalletti è uno dei pochi allenatori italiani che può dare una tale lezione a Klopp. O meglio: uno dei pochi che può dargliela attraverso il gioco. E rilanciare così sensazioni e ambizioni che dalle nostre parti segnano da troppo tempo l’enorme distanza dai livelli top europei. Altri l’avrebbero buttata sul carattere, sulla determinazione psicofisica. E l’avrebbero anche vinta, magari. Ma le squadre di Spalletti ci arrivano da sempre con il gioco. Il tecnico toscano - qualcuno avrà da ridire - ha segnato profondamente gli ultimi 15 anni di calcio continentale. Come? Attraverso il 4-2-3-1, sintesi sempre attuale tra 4-4-2 e 4-3-3 che proprio lui lanciò nella sua prima volta con la Roma. Da lì sono arrivati successi importanti, gratificanti, riconosciuti ed elogiati fino in Russia (Zenit). E quel modulo a più riprese l’hanno adottato un po’ tutti. Ma il marchio, almeno il primo, è registrato a nome Spalletti.

La storia che lo lega agli addii di Totti, Icardi e Insigne sta in piedi solo per circostanze spaziotemporali. Ma uno come Totti, per esempio, ricorderà che sotto la guida di Spalletti ha ottenuto alcuni dei suoi migliori risultati tecnico-tattici (Scarpa d’Oro 2007) e che la parentesi 2015-2017 era legata ai suoi quasi quarant’anni più che alla voglia del tecnico di farlo smettere; Icardi ai tempi dell’Inter era forte, ma era diventato una figura che precludeva la creazione di uno spirito di spogliatoio sano (nerazzurri in Champions per due volte di fila dopo sette anni di assenza...); Insigne, vista la scelta, ha cercato altro per i suoi prossimi anni. Ora, da ottimo conoscitore delle situazioni, il vecchio Luciano non vuole sentir parlare di capolavori, di lezioni impartite. Ma intanto in cuor suo se la godrà. Come se la gode chi oggi può contare su di lui. De Laurentiis, il Napoli, il Maradona. E tutti quei giocatori che grazie a lui crescono in maniera esponenziale. Kim, Olivera, Anguissa, Osimhen, Politano, tutta l’orchestra azzurra. Perché con Spalletti tutti i giorni si fa la cosa più giusta da fare nel calcio: giocare a calcio.


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