Napoli, romanzo impopolare

Napoli, romanzo impopolare
di Ivan Zazzaroni
3 min
Tagsnapoli

Un presidente che per far tacere il coro di voci stonate - fondi e sceicchi non si avvicinano nemmeno - ripete ogni due per tre di non avere alcuna intenzione di vendere la società. E una tifoseria sempre più scazzata, distante addirittura dallo stadio del cuore, che non intende riconoscersi in una squadra privata dei principali riferimenti: Koulibaly, Insigne e Mertens. Rischia di passare per sottile provocazione il fatto che le iniziali dei tre portino a Kim, acronimo sudcoreano. 

Dopo l’addio definitivo a Ciro il belga-napoletano, si è scatenato un altro inferno di malumori (eufemismo) contro Aurelio De Laurentiis, colpevole di non avergli fatto chiudere la carriera in azzurro e di non averlo salutato degnamente. «Una questione di vil denaro», la spiegazione ufficiale. 

Così è la Napoli del calcio, oggi. Questa l‘idea del prossimo Napoli, a prescindere da qualsiasi valutazione di natura tecnica: sono tra i pochi convinti che se dovesse arrivare un portiere come Keylor Navas, o che Meret fosse protetto da un vice come Sirigu, risulterebbe addirittura più forte di quello che ha appena chiuso al terzo posto. 

Sfiducia, diffidenze e perplessità diffuse. Non è solo colpa dell’estate, che soprattutto in tempi di crisi resta la stagione delle illusioni, prime nemiche della realtà e della verità. Tutto si dimentica per un sogno di grandezza e allora ricordo che per mesi abbiamo ricordato che il programma presidenziale prevedeva un’ulteriore riduzione del monte ingaggi, abbassato a 75-80 milioni, ma non della competitività. 

Se da molto tempo non “arriva” alla gente e se adesso rischia di stabilire il primato nazionale del dissenso popolare in ambito calcistico, molte responsabilità le ha lo stesso De Laurentiis. Nonostante le ottime cose fatte per il Napoli, la cui reputazione internazionale è notevolmente aumentata negli ultimi dieci anni, il presidente-produttore ha evidenti difetti di comunicazione, poca empatia con il suo pubblico, i suoi “clienti”, per dirla alla Cragnotti

Ma è giusto riconoscere al presidente il diritto di essere antipatico e di approfittarne. Era la parte che recitava - vado a pescare in ricordi lontani - il presidente del Bologna Renato Dall’Ara, la cui avarizia era il segno distintivo della sua gestione, tant’è che Brera lo chiamò Arpagone. Una marchetta per il popolo che fu ampiamente sputtanata dallo scudetto del ’64. Il settimo del Bologna, il quinto personale di Dall’Ara. In tempi più vicini - diciamo ieri - una lezione d’impresa l’ha data il Milan, la cui gestione è - come dire - priva di sentimenti. Il caso Donnarumma e quello meno grave, pur se significativo di Calhanoglu, ma anche il congelamento di un’offerta ritenuta congrua per De Ketelaere, dicono che spesso dal rispetto delle regole - imposto dal bilancio - nascono rivoluzioni opportune, ridimensionamenti utili e idee vincenti. 

Squadra nuova, vita nuova. De Laurentiis lavora per il suo Napoli, lo rilancia assumendosi il rischio di perdere. Ma se vince cosa succede? Invece del carro dei vincitori mette a disposizione una crociera MSC?
 


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