Koulibaly, l'ultimo baluardo del Sud

Koulibaly, l'ultimo baluardo del Sud© ANSA
di Antonio Giordano
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Praticamente, e quasi senza che nessuno se ne sia accorto, dentro la figura imponente di Kalidou Koulibaly non c’è racchiuso semplicemente un calciatore ma si nasconde un Molok, l’ultimo dio in grado di assecondare una resistenza quasi religiosa al «solito» strapotere politico. Kalidou Koulibaly è l’espressione alta del football, il top player che (quasi da solo) ingigantisce la qualità altrimenti media d’una squadra guidandola fino alla soglia della narrazione favolistica: e Luciano Spalletti, ancor prima di accomodarsi a luglio scorso su quella panchina sforacchiata dai tormenti per averci rimesso nel biennio precedente «appena» cento milioni di euro da mancata Champions, scelse le catene, individuò Castel Volturno come area della prigionia e spiegò ciò che adesso sta diventando evidentissimo a chiunque. Ma Koulibaly è anche altro, porta in sé la statura di un leader rivoluzionario, l’ultima frontiera per evitare che esistano non due campionati - la Juventus, il Milan, l’Inter - ma addirittura due mondi, distanti ed inavvicinabili, persino irrimediabilmente. Koulibaly non è semplicemente il tratto identitario di Napoli, che nel proprio totem si specchia, ma diventa la speranza per non ripiombare precipitosamente dentro una questione meridionale di ben altro spessore, e ci mancherebbe, ma dagli effetti socio-calcistici egualmente rilevanti.

In realtà, è sempre andata in un certo modo, e la storia certifica che la lotta è impari - 36 titoli alla Juve, 19 a Milan e Inter; 3 alla Roma, 2 alla Fiorentina, alla Lazio e al Napoli, 1 al Cagliari - ma adesso il gap rischia di diventare siderale e, non appaia improprio, l’eventuale separazione da Koulibaly finirebbe per spalancare gli abissi tra Nord e Sud già avvertiti nell’ultimo ventennio (21 per la precisione) in cui lo scudetto se ne è andato a spasso sulla Milano-Torino. Ci sarà un giorno, presto o tardi chi può dirlo?, che l’anagrafe o il contratto scatenerà questo divorzio, ma intanto, e se non l’avesse già fatto, Adl, andando a raschiare il fondo delle casse d’una società che si fonda sull’autofinanziamento e comincia a tossire dinnanzi alla solvibilità altrui, qualcosa dovrà pure inventarsi, magari un altro KK o l’idea nuova di un progetto audace. Però oggi, nello stesso istante in cui la Juve si presenta con Di Maria e Pogba e attende un centinaio di milioni di euro da De Ligt per ricostruirsi, con l’Inter che si è appena adagiato tra le braccia di Lukaku attraverso la geniale recompra di Marotta, e con il Milan campione d’Italia che può poggiarsi sull’effervescenza che si chiama De Ketelaere o Renato Sanches o Maldini&Massara, il Napoli modello Koulibaly diventa - aspettando anche Roma e Lazio - la risposta credibile all’opulenza, l’opposizione ad una triarchia che anestetizzerebbe il sistema, cui ha dato scosse nell’ultimo decennio da Benitez a Sarri e anche ad Ancelotti. Perché l’Italia del pallone ha bisogno d’un Mezzogiorno che fonda le anime e anche i sogni, senza doversi dividere tra re e reietti.


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