Proprio quando stava uscendo da se stesso, dalla propria dimensione, travolto dall’Atalanta e da una classifica che s’era trasformata in un tormento esistenziale, il Napoli ha riscoperto di possedere un patrimonio umano (e soprattutto tecnico) che l’ha rilanciato. Le sei domeniche che hanno spalancato in un orizzonte almeno invitante, forse incoraggiante, sono servite per riacquisire certezze, per suturare le ferite del recentissimo passato e anche un distacco che sembrava divenuto enorme, quanto il burrone della disillusione che lo stava inghiottendo: il Milan, secondo, a nove punti; la Juventus terza a cinque; la Roma a quattro e Atalanta e Lazio a tre. In appena quarantuno giorni, la classifica è stata ricostruita, la Champions ha smesso di essere un’utopia e, al di là di ombre che anche con il Crotone si sono allungate sulla partita, resta la consistenza d’una squadra che può permettersi di non aver paura, neanche di se stessa e degli umanissimi limiti che gli appartengono.
Il Napoli che ha raccolto i cocci del suo inverno gelido, nel quale la sorte ha inciso ed è andata a sommarsi a interpretazioni (anche tattiche) disinvolte o discutibili, ha leader ovunque dai quali lasciarsi guidare, in questo torrido finale in cui sarà necessario - e forse indispensabile - spargere ulteriore coraggio nelle proprie scelte. L’Insigne dei quattordici gol e dei nove assist va ben al di là dell’aridità (?) delle statistiche, è un leader che è uscito da quella comfort zone del semplice tiro a giro, riempie le partite di sé, del suo talento e della sua autorevolezza, persino di una umiltà che adesso gli appartiene e che l’ha aiutato a cancellare con un clic il rigore di Reggio Emilia, nella finale di Supercoppa. Juventus- Napoli è stata un «classico» per lo scudetto, recentemente, e adesso lo diviene per la Champions, che dà prestigio e però anche tanti soldi: Gattuso va a giocarsela con un gruppo che tracima personalità, aggiunge a Insigne l’imprescindibile Koulibaly, l’estroso Zielinski, il «filosofeggiante» Fabian Ruiz, la rapidità di calcio e di pensiero di Lozano e quello scugnizzo di Mertens, che è rientrato nella propria parte, incidendo attraverso quell’influenza che solo il principe dei bomber può imprimere. È una forza, anche imponente, che a dieci partite dal fischio finale, a quarantanove giorni dai saluti, può «abbellire» la stagione e sistemare la polvere sotto un tappeto volante che conduce direttamente in Champions.