NAPOLI - Un manager all’inglese con il solito aplomb calabrese: sì, perché se è vero che Rino Gattuso è rimasto fedele a se stesso, a quei principi schietti e genuini sui quali ha fondato un'esistenza, lo è altrettanto che il suo modo d'interpretare il ruolo di allenatore tende molto al modello anglosassone. Il mondo del calcio lo ha conosciuto e applaudito come il leggendario Ringhio, un soprannome che sotto sotto non lo fa impazzire ma a cui magari sarà affezionato, ma dopo dieci mesi azzurri è ormai chiara una cosa: ridurne le doti al mero concetto di grinta sarebbe un errore madornale.
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Gattuso style
Il Gattuso di Napoli è un tecnico all’avanguardia, uno che si aggiorna e che plasma le idee sul materiale. È un allenatore moderno che non disdegna il passato: ama il calcio offensivo e sa rischiare, anche molto, però sa bene quando è il momento di farla breve: catenaccio-e-contropiede. È un giovane che si rapporta ai giovani con un linguaggio chiaro: «Pane al pane e vino al vino», tanto per citarlo; ed è una che cosa piace. È un gestore di uomini e di umori, come testimoniano la rigenerazione dell’ambiente e di alcuni singoli (Lozano su tutti). È uno che detta le linee guida del mercato – vedi gli acquisti di Osimhen e Bakayoko e il rinnovo di Mertens - ed è soprattutto uno che sa farsi ascoltare. Dal club e dalla squadra. E sabato, dopo aver stropicciato la grande Atalanta, gli è anche riuscita un’impresa: in tanti, per la prima volta da quando è finito l’amore, hanno dimenticato per un po’ la bellezza del Sarrismo che fu, con gli occhi pieni del Gattusismo nascente. [...]
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