CASTEL VOLTURNO - Regola diciotto: usare il buon senso. E bisogna metabolizzare una notte intera, attraversata tra i fantasmi, ripensando a ciò ch’è stato, a quel poteva essere e a cosa possa invece diventare adesso quest’inferno....I manager di calcio, che ormai sono aziende, hanno il dovere di lasciare che il cervello domini l’istinto e che quel mormorio incessante - lo faccio, non lo faccio; lo dico, non lo dico - venga represso, sfruttando la razionalità, che non sempre può essere diplomazia. Il brusco risveglio di Aurelio De Laurentiis, nella Napoli che è un gorgoglìo represso di sofferenze (calcistiche), si riempie di quelle immagini che stanno ancora lì, navigano ovunque, nei social e nell’aria, e stordiscono, ponendosi sempre la stessa domanda: ma perché non andare al VAR?
Piazza pulita
La rabbia di Castel Volturno è quella di una squadra che incredula ripensa ad una partita esemplare, ricca di contenuti, bellissima anche grazie a ciò che ha fatto l’Atalanta, e poi sfigurata da quell’episodio che diviene la madre dell’orrore: e c’è un filo di amarezza, ma è assai spesso, che si distende sino al lungomare, dove De Laurentiis sta sorseggiando un caffé, prima di accomodarsi, cellulare in mano, per parlare con chi governa questo mondo, ed è Gabriele Gravina (Adl dixit il 17 ottobre scorso: «una persona perbene») per raccontargli educatamente, in un colloquio che ha il carattere amicale del dibattito frontale e però lucidamente analitico, cosa sia stata la «sua» Napoli-Atalanta, per discutere di quest’Universo in cui è arrivato il momento d’intervenire, di metterci mano, «facendo tabula rasa», concetto che gli appartiene da un bel po’ e che stavolta riesplode prepotente, perché ne ha viste tante e sopportate altrettante. E' questo macrocosmo che non gli sta bene, l'atteggiamento nei confronti di un gentiluomo come Ancelotti e quello che poi rimane di una notte «sfregiata» calcisticamente da una serie di decisioni che hanno devastato (il) Napoli e l'hanno spinto.
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