NAPOLI - Perché? E si può restare prigionieri di un interrogativo, inseguendo nel silenzio d'uno stadio teorie o teoremi che lasciano galleggiare poi nel vuoto pneumatico. Perché? Ci sono domande semplicissime che nella loro disarmante banalità non ricevono risposte: e si può osservare, studiare o radiografare, ritrovandosi tra le dita il nulla o semplicemente qualche briciolo di verità.
Perché siano solo undicimila gli abbonati del Napoli è un mistero (persino buffo) che spinge a modulare ipotesi razionali, a calarsi nella realtà indiscutibile di una città difficile, ad attraversare il cambiamento dell’humus calcistico e le rivoluzioni, nelle abitudini e anche nelle tecnologie, di un mondo che ha virato, è uscito dai suoi riti e dalle sue abitudini del secolo scorso ed è piombato in questo Terzo Millennio affrontandolo a muso duro, rinunciando a qualcosa (al calcio per esempio), che può essere servito diversamente, comodamente, in poltrona. Però c’è anche altro in quest’universo che strapazza pure le didascalie del proprio passato, lasciandolo ingiallire la memoria e i suoi meravigliosi anni ‘60 (e anche ‘70), quando ancora non era planato Diego a Fuorigrotta, e però ce n’erano ottantamila a lasciarsi rosolare dal sole o a inondare dalla pioggia, sguazzando dentro se stessi.
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