Ancelotti per lei è un faro.
«E tale rimane. L’eredità di una squadra che aveva fatto innamorare non poteva che essere complicata. Io non avrei cambiato il sistema di gioco, ma capisco che avendo acquistato alcuni calciatori con caratteristiche diverse e poi avendo perso Hamsik, sia stato indotto a intervenire. Ma la garanzia è lui».
E Insigne, poverino, si è ritrovato nella tormenta.
«Il problema non è Insigne ma questa tendenza a cercare un capro espiatorio al primo risultato insoddisfacente. Qui vogliono vincere tutti e sempre e non si può, perché a triofare è sempre uno solo. E’ il destino dei profeti in patria o di chi cerca di esserlo. E quando si perde, parte la caccia al colpevole, inevitabilmente individuato conn il proprio concittadino».
Lei cosa farebbe al suo posto?
«Premessa: il mercato non lo fanno i giocatori, che a volte certe decisioni le subiscono. Ma io, fossi in Insigne, resterei e senza avere alcun dubbio: quella maglia, quella città, meritano di avere un simbolo. Lui sa che sarà dura, che basterà inciampare per riprovare certe sensazioni amarognole, ma ormai ci sarà abituato. E’ giovane, stia a casa sua, dove c’è anche chi gli vuole bene, e diventi il riferimento».
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