NAPOLI - Perché sia chiaro, persino al di là di ogni (legittimo) dubbio: i soldi non sono tutto, nella vita, e fa niente se poi aiutino a passarsela meglio. «Io voglio semplicemente sapere se il ciclo debba considerarsi ancora aperto e con margini di miglioramento o se invece debba essere ritenuto finito». Perché non esistano retropensieri: i contratti sono documenti «oppugnabili», dinnanzi a due uomini che sappiano dirsi - come hanno avuto modo di fare - ciò che pensano e quel che vogliono. «E per me la clausola non ha alcun valore dinnanzi ad altri aspetti». Perché siatuta (simbolicamente) e indossa i panni del conferenziere, Benevento-Napoli è diventato ormai un dettaglio esistenziale e quel che resta, nell’orizzonte, è il futuro da opzionare dopo aver parlato con De Laurentiis ma poi pure con se stesso.
LUI E DE LAURENTIIS - Verranno giorni in cui ci sarà modo per ritrovarsi, per rinfrescarsi le idee, per ripensare alle strategie per continuare ad essere «il Napoli», una squadra disegnata dal club ad immagine e somiglianza di un allenatore che ha provveduto, lucidamente, a ripulire l’aria dai veleni (presunti o reali) d’un mercato digerito faticosamente soprattutto da quell’universo social che ormai ha un peso: «Ma non ne ha per me, perché De Laurentiis era fortemente intenzionato a spendere. Io avrò bisogno di sapere, invece, se questo ciclo possa continuare a vivere. Non c’è bisogno, tra me e Aurelio, di tanti incontri: ne basteranno un paio per definire le prospettive. So, e me lo ha detto lui, che vuole togliere la clausola: ma questo non è un problema. A me basterà avere la certezza che ci siano ancora margini di miglioramento in questo Progetto».
Napoli, Chiesa e Verdi nel futuro
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