Milan, ma Fonseca dove vuole arrivare?

Leggi il commento sulla gestione del caso Leao da parte del tecnico rossonero
Franco Ordine
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Per spiegare questa quarta puntata del caso Leao, bisognerebbe partire da una metafora divertente. E chiedere aiuto a una famosa scena di un vecchio film nel quale Totò raccontava l’incontro con uno sconosciuto che lo trattava da vecchio amico e cominciava a rifilargli una striscia di ceffoni sul viso. «E tu come hai reagito?» gli chiedeva la spalla storica. Totò: «Io ridevo e mi chiedevo: chissà questo vuole arrivare!». Ecco: dinanzi alla ennesima esclusione di Leao, c’è da chiedersi semplicemente dove vuole arrivare Paulo Fonseca. Nessuno crede che il tecnico portoghese sia animato da particolare pregiudizio. Forse qualche precedente scomodo, nella sua carriera italiana, esiste e ci riporta ai tempi della Roma con Dzeko. Ma questa sembra proprio un’altra storia. Leao era abituato a essere il cocco di Stefano Pioli, della critica, dei tifosi che avevano negli occhi le sue magie durante lo scudetto e della società (intervenuta con lo Sporting per chiudere il contenzioso della multa da 20 milioni di euro). Dall’avvento di Fonseca è come se il mondo Milan, agli occhi di Rafa, si fosse capovolto. A dire il vero anche Paolo Maldini, che pure gli fu accanto come una sorta di padre putativo, spesso lo rimproverò con quel giudizio («non puoi pensare di essere un calciatore da Instagram!») che fece capire come la priorità di Leao non fosse il calcio e nel calcio non fosse nemmeno il gol ma la giocata, la cavalcata, il dribbling ripetuto.

Con Fonseca al Milan capovolto il mondo di Leao

Nei fatti il nuovo tecnico di Milanello ha considerato Leao "uno come tutti gli altri" e ha continuato a ripetere questo mantra: «Non c’è nessun problema con Leao, la mia è solo un’opzione da allenatore». Leao è stato messo in panchina a Roma con la Lazio dopo la prova di Parma (dove pure rimediò l’assist per il gol di Pulisic), è stato protagonista del cooling break, poi ancora con Udinese e Napoli e tutte le volte che è subentrato non ha mai rubato l’occhio. Anzi, in occasione dell’ultima partecipazione, col Napoli di Conte (che gli ha confezionato una gabbia su misura sostituendo Politano con Mazzocchi), ha firmato due-tre giocate di rilievo scandite poi da rientri a passo lento, come ha documentato il filmato di un tifoso che è diventato virale nella rete. Anche un addetto ai lavori come Alessandro Nesta ne ha fornito ieri una rappresentazione perfetta: «Leao è uno che decide anche se ha delle pause». Ed è proprio questo il peccato che gli viene attribuito da Fonseca il quale, nell’occasione, sembra anche riscuotere se non proprio l’appoggio pieno della società, almeno la solidarietà a distanza di Ibrahimovic che invece di intervenire per smussare gli angoli, sul tema si è pronunciato così: «Devono risolversela da soli». Qui viene fuori l’altro deficit del Milan attuale che ha avuto - durante l’estate scorsa - l’ostinazione di preferire un tecnico alla Fonseca a un "manager" alla Conte. Non c’è, nella pratica di tutti i giorni a Milanello, una figura che possa fare da legame tra allenatore e squadra, dotato oltre che di carisma personale anche di quelle buone maniere diplomatiche che in una piccola comunità come lo spogliatoio di una squadra di calcio possono aiutare a raffreddare le incomprensioni e a ricucire gli strappi personali.


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