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Il Milan aveva una triplice difficilissima missione. E le ha centrate in pieno, tutt’e tre. La prima: non poteva perdere, ma ha fatto di più, molto di più, nonostante avesse di fronte un avversario che qualche giorno prima aveva fermato il Manchester City. La seconda: doveva dimostrare di essere una squadra sana e anche qui mica era semplice dopo che era stato strapazzato da Liverpool: il Milan è riapparso in piena salute. La terza: doveva restituire dignità al suo allenatore, criticato duramente in questo complicato inizio di stagione ed è stato proprio Fonseca, con scelte di coraggio, a riconquistare la stima dei milanisti in una sola notte. Interrompere con una vittoria meritata la serie di 6 sconfitte di fila nel derby lo spinge in una situazione di grande serenità.
Un derby con gol banali è un derbyno. Questo non lo è stato. Pulisic lo ha segnato aprendo in due una delle difese più forti d’Europa, come sa bene Guardiola; la rete di Dimarco non è stata inferiore per bellezza ed esattezza, da un cambio campo di Barella, un destra-sinistra che ha raggiunto proprio Dimarco, poi Lautaro e infine messo ancora Dimarco nella posizione ideale per quel suo mancino da paura. E anche il balzo finale di Gabbia è stato impressionante. Non abbiamo visto un derbyno soprattutto se lo raffrontiamo a un’altra partita di vertice, giocata il giorno prima, Juve-Napoli. Di governo Thiago Motta-Conte, di lotta Inzaghi-Fonseca.
Era la solita Inter come formazione, ma non come spirito, come aggressività, come compattezza. Col City un gol come ha fatto Pulisic non lo avrebbe mai preso. E infatti, non a caso, prima di incassare quella rete, Inzaghi si era rivolto verso la sua panchina per dire che “stiamo dormendo”. Come formazione, invece non era il solito Milan. E nemmeno come carattere, come applicazione, come forza. Forse Fonseca l’ha costruito pensando a se stesso, alle sue difficoltà, alle critiche di banalità che stava ricevendo da ogni parte, così ha mostrato il petto e schierato tutti insieme Pulisic e Leao sugli esterni, e Morata dietro ad Abraham. Morata è un giocatore intelligente, ha capito come e dove mettersi, intorno a Calhanoglu. Su un punto l’Inter e il Milan si potevano accomunare anche ieri sera: Morata e Lautaro sono attaccanti che sanno giocare per la squadra, che pensano alla squadra, che lavorano per la squadra. Morata rompendo le scatole a Calhanoglu, Lautaro creando le occasioni migliori compresa quella del gol.
Era solo la quinta giornata, ma al di là del Torino capolista, i 10 punti del Napoli e i 9 della Juve rappresentavano già un piccolo, piccolissimo vantaggio. Un anno fa l’Inter partì con 5 vittorie in 5 giornate (alla quinta segnò proprio Dimarco a Empoli), adesso ha già pareggiato due volte e ha perso il derby. L’Inter che insegue è una notizia. Ma più dei nerazzurri aveva molto da perdere il Milan: l’allenatore. Invece Fonseca ha messo in campo l’idea vincente. A inizio ripresa è rimasto in giacca e maglietta mentre Inzaghi si è tolto giacca e cravatta. Simone sudava (freddo) a vedere l’Inter incassare una palla-gol dietro l’altra. Solo Sommer l’ha salvata dal naufragio. E mentre Inzaghi dopo un’ora ha dato il via ai cambi (togliendo peraltro troppi centimetri all’Inter), non soddisfatto di quanto stava accadendo a San Siro, il portoghese è rimasto freddo, ha aspettato ancora e ha vinto con una delle due scelte coraggiose: gol di testa di Gabbia che giocava al posto di Pavlovic.
Era la solita Inter come formazione, ma non come spirito, come aggressività, come compattezza. Col City un gol come ha fatto Pulisic non lo avrebbe mai preso. E infatti, non a caso, prima di incassare quella rete, Inzaghi si era rivolto verso la sua panchina per dire che “stiamo dormendo”. Come formazione, invece non era il solito Milan. E nemmeno come carattere, come applicazione, come forza. Forse Fonseca l’ha costruito pensando a se stesso, alle sue difficoltà, alle critiche di banalità che stava ricevendo da ogni parte, così ha mostrato il petto e schierato tutti insieme Pulisic e Leao sugli esterni, e Morata dietro ad Abraham. Morata è un giocatore intelligente, ha capito come e dove mettersi, intorno a Calhanoglu. Su un punto l’Inter e il Milan si potevano accomunare anche ieri sera: Morata e Lautaro sono attaccanti che sanno giocare per la squadra, che pensano alla squadra, che lavorano per la squadra. Morata rompendo le scatole a Calhanoglu, Lautaro creando le occasioni migliori compresa quella del gol.
Era solo la quinta giornata, ma al di là del Torino capolista, i 10 punti del Napoli e i 9 della Juve rappresentavano già un piccolo, piccolissimo vantaggio. Un anno fa l’Inter partì con 5 vittorie in 5 giornate (alla quinta segnò proprio Dimarco a Empoli), adesso ha già pareggiato due volte e ha perso il derby. L’Inter che insegue è una notizia. Ma più dei nerazzurri aveva molto da perdere il Milan: l’allenatore. Invece Fonseca ha messo in campo l’idea vincente. A inizio ripresa è rimasto in giacca e maglietta mentre Inzaghi si è tolto giacca e cravatta. Simone sudava (freddo) a vedere l’Inter incassare una palla-gol dietro l’altra. Solo Sommer l’ha salvata dal naufragio. E mentre Inzaghi dopo un’ora ha dato il via ai cambi (togliendo peraltro troppi centimetri all’Inter), non soddisfatto di quanto stava accadendo a San Siro, il portoghese è rimasto freddo, ha aspettato ancora e ha vinto con una delle due scelte coraggiose: gol di testa di Gabbia che giocava al posto di Pavlovic.