Milan, il muro del rimpianto

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Milan, il muro del rimpianto© EPA
Ivan Zazzaroni
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In lilla degradante verso il celeste scuro forse per non farsi riconoscere. Ma anche se avesse indossato il rossonero della migliore tradizione per un’ora buona avrei faticato a immaginarlo Milan.

Soltanto dopo il pari di Pulisic ho rivisto una squadra disposta a vincere e a coltivare l’illusione del passaggio del turno. Incomprensibili perciò i vuoti della parte iniziale e di quella centrale e a questo punto notevoli i rimpianti: il Psg, che ha chiuso a pari punti, non ha mostrato alcuna superiorità.

Pioli è finito così in Europa League dove trova Mourinho e Gasperini, avversari anche nella corsa alla zona Champions che adesso li pone sullo stesso piano. Non tecnico. Ho apprezzato il coraggio - per alcuni l’incoscienza - del Milan che in estate ha tentato qualcosa di nuovo e decisamente spiazzante: fare calcio senza i ruoli del calcio, o comunque con un numero limitato di specialisti.

Gli americani amano l’innovazione e la praticano in tutti i settori. E allora immagino che Cardinale e compagnia abbiano ragionato così: l’ex calciatore (Maldini) è troppo ingombrante, autonomo e poco empatico? Se ne può fare a meno. Il ds (Massara) è legato a doppio filo all’ex campione? A casa pure lui: abbiamo un ottimo scout (Moncada) per cui con una sola figura tecnica riempiamo tre buchi.

Poi però è arrivato il campo e i nove acquisti - tutti buoni giocatori, per carità: almeno un paio di sicuro avvenire, Reijnders e Musah - sono partiti benissimo, ma col passare del tempo hanno conosciuto infortuni, cali di rendimento e discontinuità che l’allenatore - da solo - non è riuscito a compensare. La società ha quindi cercato di correre ai ripari recuperando un altro ex (Ibra), molto più fresco del precedente, vestendolo con un abito anch’esso originalissimo: senior advisor (azz!). Per oltre sessant’anni le squadre di calcio le hanno costruite i direttori sportivi con i soldi dei presidenti: Viani, Allodi, Regalia, Bonetto, Governato, Moggi, Mascetti, Beltrami sono i primi nomi importanti che mi vengono in mente. Da qualche tempo a questa parte però molti owner (proprietari), convinti di aver capito tutto del pallone e delle sue dinamiche e mettendoci del proprio (quattrini), hanno cominciato a sostituirsi ai diesse trattando direttamente con calciatori e agenti, molti dei quali esclusivisti. I danni si sono moltiplicati e il numero dei direttori si è ridotto. Tu chiamalo, se vuoi, indebolimento strutturale.

La ricerca di strade alternative (head hunter per i tecnici o i giocatori e algoritmi come se piovesse) è una pratica incoraggiabile. Tuttavia non va dimenticato che il calcio è una settore anomalo, con equilibri e un linguaggio complessi pur nella loro semplicità. Per cambiare radicalmente servono misura e tempo: il calcio è birichino e non ne concede tanto. In quello dei chairman, chief of staff, chief football officer, chief financial and the beat goes on, certi termini riempiono le orecchie ma possono svuotare le bacheche.

Roma-Napoli a Taylor

Dopo la triade Rapuano-Maresca-Aureliano in Roma-Fiorentina, tutti e tre con precedenti anti-mourinhani (e chi non li ha, esclamerebbe il designatore Rocchi), a Bologna lo Special ritroverà Chiffi, questa volta al Var. Per Roma-Napoli non si esclude la designazione dell’inglese Taylor. Giusto metterla sul ridere, soprattutto dopo quello che è successo in Turchia all’arbitro Halil Umut Meler, aggredito selvaggiamente dal presidente dell’Ankaragucu Faruk Koca. Per dirla alla Sciascia, credo che le sole cose sicure in questo mondo siano le coincidenze.


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