Milan-Inter, la differenza del gatto gigante

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Milan-Inter, la differenza del gatto gigante© LAPRESSE
Alessandro Barbano
4 min

Al Milan l’agonismo, la classe, il dominio del gioco. All’Inter un pizzico di esperienza in più, che vuol dire sfruttare meglio quel poco che produce. Ma la differenza nel derby la fa Maignan: senza le acrobazie del gatto gigante, finiva pari. Il francese vale quanto mezza squadra nel bilancio di un campionato, perché è un "numero uno" superlativo atleticamente e completo tecnicamente, come non se ne vedevano da molto tempo. Agile e rapido sulle palle basse ravvicinate, a dispetto dei suoi centonovantuno centimetri, sempre ben piazzato, capace di allungarsi all’incrocio dei pali su un tiro di Calhanoglu che sembra imprendibile, padrone dell’intera area di rigore in uscita, e da ultimo abilissimo con i piedi, in grado di rilanciare da fermo la palla a settanta metri nella tre quarti avversaria. Trovàtene un altro così, se ci riuscite.



Maignan è l’antidoto contro il paradosso che sta per disegnarsi a due terzi di gara. Con il Milan che, dopo aver creato il triplo dell’Inter, dominando per sessanta minuti sulla fascia sinistra con il trio Hernandez-Tonali-Leao, rischia di farsi riprendere. Perché a quel punto l’ingresso di Dzeko suona la sveglia, Brozovic e Calhanoglu stringono i denti per tirar fuori l’ultima riserva di fiato, e i rossoneri improvvisamente si scoprono troppo lunghi e un tantino ingenui, come si conviene alla loro giovane età. Il pari ci starebbe, infedele rispetto alla maggiore qualità espressa dal Milan, ma coerente con la maggiore concretezza della squadra di Inzaghi.

Però a prescindere dal risultato, dal derby arrivano per i due tecnici indicazioni diverse. Il Milan ha problemi di crescita. Deve integrare meglio il nuovo acquisto De Ketelaere, che ha potenzialità enormi ma fa qualche fatica a orientarsi nel 4-2-3-1. Deve giocare di più e più velocemente sulla fascia destra, dove gli scambi tra Calabria e Messias hanno minore forza di penetrazione. Ma appare come la squadra più dotata del campionato e, al netto di qualche momento di sbandamento, più affiatata. Dispone poi di un giocatore non marcabile, come Leao, perché senza rivali nell’uno contro uno e capace ormai di una concretezza realizzativa sulla quale non tutti avrebbero scommesso solo due anni fa. Il piatto con cui, da un’angolazione proibitiva, sorprende Handanovic sul primo gol ne è un esempio eloquente. Il cambio di marcia e la finta con cui si libera per il terzo gol fanno un colpo da top player.



L’Inter mostra invece un’incompiutezza caratteriale e tattica che meriterà qualche approfondimento. Sulle fasce paga la partenza di Perisic, davanti Lautaro e Correa raramente sono in dialogo, in difesa è imbarazzante lo sbandamento sul gol di Giroud. E più di tutto tra i pali ha un bravo professionista ma i cui riflessi, a trentotto anni, non sono più quelli di una volta. Forse un maggior coraggio nell’impiego di Mkhitaryan e Dimarco darebbe a questa squadra una maggiore capacità di spingere e giocare tra le linee.

Cinque giornate non danno indicazioni sull’esito di un campionato lungo e concentrato in un lasso di tempo ristretto, causa Qatar. Ma bastano a far capire che il Milan campione d’Italia è ancora per tutti la squadra da battere.


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