© Marco Rosi / Fotonotizia
C’è un equivoco da eliminare. La Lazio cerca una dimensione, è un cantiere ancora aperto, ma non può dipendere in modo totale dalle combinazioni di una politica nuova e sperimentale. Deve ragionare in linea con la sua tradizione. Ha bisogno di una qualità certificata: di coerenza e certezze. Non solo della talent-room creata a Formello, dove si scoprono giovani seguendo l’onda degli algoritmi e studiando i video delle partite. La Lazio aveva saputo distinguersi per la sua competenza anche nei periodi meno floridi, quando non esistevano i soldi dei diritti televisivi: riusciva a comprare stranieri del calibro di Ruben Sosa e Riedle. La squadra, negli ultimi tre mesi, è uscita impoverita dal mercato: ha perduto personalità, esperienza e classe. È semplice fare somme e sottrazioni. Così come risulta un esercizio faticoso ritenere che questo gruppo valga sulla bilancia i 61 punti conquistati nello scorso campionato. La riduzione del 20% del monte ingaggi ha prodotto, in proporzione, la rinuncia a un patrimonio tecnico che finora non è stato compensato dagli acquisti. Si rischia di ridimensionare prospettive e traguardi: sabato a Udine sono emersi errori e difetti.
Prendere coscienza di certi limiti, prima che il mercato chiuda e sia troppo tardi, spetta a Lotito e a Fabiani. Mancano un regista e una mezzala. Due nomi pesanti, in grado di trasformare la statura della Lazio e di agevolare il compito di Baroni, che merita di avere a disposizione gli strumenti per giocarsi la grande opportunità della sua carriera. Non c’è spazio per altre scommesse. Oltre a una ritrovata armonia interna servono giocatori che abbiano un valore riconosciuto. E che siano abituati a incidere, a fare la differenza, a prendersi le responsabilità, a lottare per traguardi prestigiosi. La Lazio aveva costruito con Tare il centrocampo più forte della serie A: Milinkovic, Luis Alberto, Lucas Leiva, Lulic e Parolo. Pianificare un ricambio generazionale è un passaggio delicato. Nei discorsi di Fabiani si fa spesso riferimento all’Atalanta e al Bayer Leverkusen. Realtà distanti per fatturato e potere di acquisto. Il vivaio deve tornare a esprimere una ricchezza. In passato aveva regalato D’Amico, Giordano, Manfredonia, Agostinelli, Tassotti, Di Canio, Nesta e Di Vaio. La Lazio aveva un ruolo rilevante sul territorio regionale. I cambiamenti comportano ritardi, ma non giustificano un anno zero. È stata smontata la squadra che nel 2023 aveva raggiunto il secondo posto con Sarri: tanti leader sono andati via, hanno trovato il cancello spalancato, venivano considerati un costo. Giusto investire sui giovani, a patto però di non esporli al pericolo di complicarne lo sviluppo: il loro inserimento necessita di tempo, fiducia e pazienza. Rappresentano un investimento che va protetto. Devono crescere intorno a figure di spessore che li aiutino a maturare, a capire gli errori, a gestire le pressioni. Immaginare una programmazione su base triennale, come ha spiegato Fabiani qualche giorno fa, stona con le logiche aspettative di una piazza esigente e ambiziosa.
Nonostante le scelte controcorrente del club e una strategia votata al risparmio, i tifosi hanno deciso di sottoscrivere quasi ventottomila abbonamenti: solo per una questione di fedeltà, visto che a Formello non sono arrivati campioni e il super colpo - Mason Greenwood - ha preferito l’offerta dell’Olympique Marsiglia a quella di Lotito. Il mercato termina venerdì a mezzanotte. La Lazio è incompleta. L’importante è intervenire subito, senza nascondere i problemi sotto la sabbia.