Situazione kafkiana. Dieci giorni di cene, colazioni, telefonate e riunioni. Di viaggi da Spalato a Formello. Ma il clima da violini e luna di miele era finito da tempo. La Lazio non condivideva le scelte estreme di Tudor: gli aveva imposto le conferme di Guendouzi, Rovella e Isaksen, pretendeva totale autonomia sul mercato e aveva litigato con Kamada, il primo dei sergenti di Igor. Ha aspettato con pazienza un passo indietro del tecnico. Matrimonio di facciata, fino alla dimissioni del croato, che mercoledì è uscito di scena. Una settimana di tatticismi e pause di riflessione, in attesa di spiegare le ragioni del divorzio. “Tudor ci aveva chiesto di cambiare otto giocatori, troppi per un gruppo che noi riteniamo all’altezza, ma è andato via da persona perbene. Saremo competitivi”, ha detto ieri sera Claudio Lotito all’Ansa.
Non dovrebbe essere un esercizio così difficile provare a restituire un po’ di armonia e di normalità alla Lazio. Soprattutto per un presidente che si definisce con orgoglio il custode dei valori di una società e di una tifoseria. L’ultimo anno ha certificato una serie di dolorosi passaggi a vuoto. Il club si è fatto trovare impreparato dopo un secondo posto. Non ha saputo sfruttare l’onda della Champions: l’ha ritenuta un punto di arrivo. La Lazio non è riuscita a individuare un degno erede di Milinkovic e di Immobile nonostante i sessanta milioni garantiti dal torneo dell’Uefa e i quaranta ricevuti dallo sceicco dell’Al-Hilal. Le promesse fatte a Sarri sulla qualità degli acquisti non sono state mantenute. Mau non è sceso a patti e ha lasciato sul tavolo dodici stipendi: otto milioni lordi. Luis Alberto ha chiesto di rescindere un contratto davanti a una telecamera, subito dopo la partita con la Salernitana: scena mai vista. Felipe Anderson non ha voluto chiudere la carriera nella Lazio, accettando la proposta del Palmeiras. Adesso a svuotare l’armadietto è Tudor: avventura durata settantanove giorni. Diciotto punti in nove partite, la qualificazione in Europa League e alcuni contrasti con la squadra. Hombre vertical, niente compromessi. Negli ultimi tre mesi la quiete è durata sempre lo spazio di uno starnuto. Conflitti e messaggi trasversali. Lotito ha denunciato che Sarri “era stato tradito” da una parte del gruppo e ora ha giurato che “caccerà i mercenari”. Fabiani ha dichiarato che intorno alla Lazio esiste “una piovra”. Un’accusa grave che non è stata accompagnata da nomi e cognomi. Poi c’è stato il caso Kamada. E sempre il direttore sportivo, commentando il rifiuto del giapponese e dei suoi agenti a rinnovare l’accordo, ha parlato “di ricatti e di estorsioni”. Senza chiarire come mai, nella scorsa estate, al centrocampista fosse stata concessa la facoltà di stabilire il suo futuro entro il 30 maggio attraverso una clausola unilaterale. Pretesa mai avanzata neppure da Messi.
La Lazio ha deciso di ripartire da Baroni, che ha svolto un lavoro eccellente prima nel Lecce e poi nel Verona. Tecnico preparato, quasi 61 anni, conosce la giungla del calcio. È cosciente che i tifosi si aspettassero un big: da Allegri a Sergio Conceiçao. Serietà, gavetta, applicazione, stile. Si è guadagnato questa opportunità e meriterà di essere valutato senza pregiudizi. Il Bayern, 33 titoli e 6 Coppe dei Campioni, ha assunto Vincent Kompany, penultimo in Premier con il Burnley. C’è una realtà, invece, che non deve essere trascurata. La Lazio ha chiuso il campionato con un settimo posto e tredici punti in meno rispetto al 2023. Sarebbe scivolata in Conference se l’Italia non avesse scalato il ranking. La qualificazione in Europa League è stata conquistata grazie a un pareggio con il Sassuolo già retrocesso. Comprendere gli errori recenti deve rappresentare la base. Il dibattito sulla scelta dell’allenatore non può diventare preminente: conterà la sostanza dei programmi. La squadra va potenziata. Con Tare erano arrivati Felipe Anderson, De Vrij, Luis Alberto, Milinkovic. Oltre a due campioni del livello di Klose e Lucas Leiva. Servono talenti e certezze. Tchaouna ha un repertorio interessante, ma è auspicabile che si investa anche su profili già collaudati, come Wieffer e Dovbyk, seguiti in passato: l’olandese si è consacrato nel Feyenoord, l’ucraino ha segnato 24 gol nel Girona, che l’ha preso con 7,5 milioni, la metà dei soldi ricevuti da Lotito per Castellanos. Giovani di valore che abbiano esperienze in ambito internazionale: questo l’identikit tracciato da Fabiani. Niente azzardi e un impegno: non perdere il baby più promettente della Primavera, Jacopo Sardo, mezzala, 2005, senza contratto. Un club con 124 anni di storia non è un laboratorio per gli esperimenti. Smontare in dodici mesi la Lazio di Sarri è stata una responsabilità enorme. Baroni non sarà l’unico a sentirsi sotto esame.