Lazio, l’importanza di recuperare Luis Alberto

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Stefano Chioffi
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Un gigantesco muro di carta, lungo e largo quanto la tribuna Tevere. Un mosaico formato da centinaia di fogli bianchi e celesti. Un gioco di incastri in grado di comporre una scritta: “Meravigliosa”. Dodici lettere che aiutano a comprendere e a sintetizzare il valore dell’eredità lasciata dalla Lazio di Maestrelli, capace di rappresentare ancora un fenomeno sportivo e sociale a distanza di mezzo secolo dallo scudetto vinto nel 1974. Un impatto emotivo e coreagrafico che ha fatto subito percepire il significato di una ricorrenza speciale alla squadra di Tudor, che ha quasi ipotecato la qualificazione in Europa League e ha ricominciato a sperare in una rimonta per la Champions, soprattutto dopo la sconfitta della Roma a Bergamo: De Rossi è a quota 60, Igor è salito a 59. Il segreto? L’energia trasmessa da una domenica dominata dai sentimenti, come ha sottolineato il tecnico croato dopo la vittoria contro l’Empoli: la quinta della sua gestione. Sedici punti in sette gare: stessa velocità da crociera dell’Atalanta e dell’Inter, che tra sei giorni affronterà la Lazio a San Siro. Una squadra, quella biancoceleste, che ha potuto contare in tribuna Monte Mario sull’affetto dei suoi vecchi campioni d’Italia: Petrelli, Martini, Oddi, Nanni e Garlaschelli. E anche su un formidabile gruppo di angeli custodi: da Maestrelli a Lovati, da Pulici a Wilson, da Re Cecconi a Frustalupi, da Chinaglia a D’Amico, da Polentes a Facco. Già, perché la difesa di Tudor ha camminato qualche volta sul filo di un equilibrista. Mandas si è preso la scena con due interventi degni di Felice Pulici, il portiere che aveva subìto meno gol in serie A nel 1972-73 e nel 1973-74. Il greco ha respinto in tuffo un tiro di Caputo sullo 0-0 e deviato un colpo di testa dell’albanese Shpendi sull’1-0. È arrivato in estate dall’Ofi Creta, ha ventidue anni, è costato un milione: quinto clean sheet in nove partite. Ma a spingere la Lazio è stato anche Patric, che gioca con il numero 4, lo stesso di Pino Wilson, l’ex capitano. Lo spagnolo ha stappato il match a pochi secondi dalla fine del primo tempo, trovando un varco dentro un’area che sembrava più trafficata di via Veneto. Un altro bacio del destino, all’interno di una domenica da romanzo, in cui Immobile e i suoi compagni si sono riscaldati davanti ai miti di Maestrelli, tra abbracci e strette di mano. Il terzo personaggio della domenica laziale è Matias Vecino, che ha piazzato l’ultimo francobollo sulla partita con l’Empoli a un minuto dalla fine. L’uruguaiano, a livello europeo, è uno dei centrocampisti che incide di più partendo dalla panchina: settimo gol stagionale, uno in Champions e sei in campionato, quattro li ha firmati entrando in corsa. E Luis Alberto? Da sabato è stato lasciato a casa da Tudor: libero di stare con la sua famiglia oppure di andare a giocare a golf. Una scelta tecnica, così l’ha definita l’erede di Sarri. Lo spagnolo non è stato ritenuto utile neppure come riserva: al suo posto c’era il paraguaiano Diego Gonzalez, classe 2003, dieci gol con la Primavera di Sanderra. Un lusso esagerato per una Lazio che ha altre due partite per indirizzare la sua stagione. Difficile credere che ieri, all’Olimpico, nessuno abbia pensato all’assenza del Mago con un po’ di nostalgia. Tudor ha escluso che Luis sia diventato un caso: gli chiede applicazione e coinvolgimento, a partire da domani a Formello. In attesa di stabilire il futuro del trequartista, però, spetta ai dirigenti intervenire e ricreare le basi per una convivenza. Non c’è posto per le questioni di principio. Rinunciare ancora a un giocatore che ha garantito alla Lazio 52 gol e 79 assist sarebbe un azzardo. Gli appuntamenti con l’Inter e il Sassuolo equivalgono a due biglietti della lotteria per la Champions.


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