Sarri è pronto a dimettersi. Vuole capire, si è preso una pausa di riflessione, ha il sospetto che questa Lazio fatichi a comprendere il suo linguaggio e sia un disegno sbagliato. Ha un contratto fino al 2025, ma è disposto a strapparlo. Il crollo con la Salernitana, sesta sconfitta in tredici partite, l’ha spinto a mettere in discussione il suo rapporto con Lotito e i giocatori, come ha confidato ieri sera all’Arechi, prima di salire sul treno per Roma. Un’analisi spietata, forse il tentativo di svegliare le coscienze di tutti e di leggere negli occhi dei suoi interlocutori se esista ancora il desiderio comune di proseguire il viaggio. Messaggio senza ipocrisie e compromessi, nel pieno rispetto del suo stile. Parole calibrate in maniera scientifica, a poche ore dalla sfida di martedì all’Olimpico con il Celtic: appuntamento decisivo per la qualificazione agli ottavi. Sarri non si riconosce in questa Lazio, ha bisogno di tracciare una linea e di fermarsi a valutare il suo lavoro: “Se capirò di aver commesso errori, chiederò un colloquio al presidente e mi farò da parte”.
Lazio, pesante bocciatura
Diciassette punti in tredici partite: un cammino così incerto non si registrava dal 2013-14. La rimonta subita a Salerno certifica il campionato mediocre di una squadra che costruisce poco (due gol su rigore nelle ultime quattro partite) e non riesce a uscire dall’anonimato. Problemi che Immobile, ieri pomeriggio, aveva provato a nascondere sotto la sabbia. Ma Kastanos e Candreva, nel secondo tempo, hanno fatto riemergere la maschera di una Lazio discontinua e incompiuta. Lotito è deluso: ha intenzione di chiedere spiegazioni a Sarri e ai giocatori, perché gli stipendi dei biancocelesti pesano come quelli del Napoli campione d’Italia. Non rinnega le scelte di mercato e continua a ritenere di aver consegnato al tecnico una Lazio da zona Champions. Traguardo che rappresenta il manifesto del presidente: un obiettivo fondamentale per nutrire i prossimi investimenti e tenere i conti in equilibrio. Ma i risultati raccolti finora equivalgono a una pesante bocciatura. Difficile credere in una rimonta, considerando il bilancio di questi tre mesi: zero punti contro il Lecce, il Genoa e la Salernitana, che sta acquisendo l’adrenalina di Pippo Inzaghi e non vinceva in campionato dal 27 maggio.
La Lazio è piatta
La Lazio è piatta, ha limiti strutturali, non ha cambio di passo, gioca solo in orizzontale. Soffre i ritmi alti e la pressione. Non è capace di dare in corsa un’impronta diversa alle partite che prepara. Se va sotto, si smarrisce. È attenta, in campo, a interpretare i movimenti in modo scolastico, non trasmette quasi mai la sensazione di divertirsi. Ha perso la creatività che colorava il 4-3-3: è imparagonabile alla squadra che un anno fa aveva conquistato il secondo posto. In classifica, dopo tredici giornate, ha dieci punti in meno rispetto al 2022.
Lazio, questione di ruoli e competenze
Kamada invisibile. Felipe Anderson e Zaccagni non pervenuti. Ieri mancavano Luis Alberto, Romagnoli e Casale. Assenze che hanno sicuramente inciso, ma che non possono diventare una giustificazione. Così come non è accettabile che la Lazio si ritrovi ancora dentro un labirinto, inseguendo i rimpianti legati a Milinkovic. “Il rendimento dei giocatori non è all’altezza e ognuno si deve prendere le responsabilità: io più di tutti”, ha sottolineato Sarri. Forse si è pentito di essere rimasto a Roma dopo le emozioni e gli applausi della scorsa stagione. Sugli acquisti non c’è stata sintonia. Distanze nette, sui nomi e sulle strategie. Il tecnico si era immaginato altri scenari: confidava sul tesoro garantito dalla Champions e sui quaranta milioni piovuti in banca grazie al cartellino di Milinkovic. Aveva chiesto innesti di spessore: aspettava Berardi, Milik e Zielinski. Poi si è piegato alla politica aziendale di Lotito, perché esistono confini che non possono essere superati. Una questione di ruoli e di competenze.