La Lazio e la sua incompiutezza strutturale

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La Lazio e la sua incompiutezza strutturale© LAPRESSE
Alessandro Barbano
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C’è zona e zona, e questa non è la zona di Sarri. C’è pressing e pressing, e questo non è il pressing di Sarri. C’è Lazio e Lazio, e questa non è la Lazio di Sarri. Il pareggio con il Monza conferma non tanto una crisi di risultati e di condizione, quanto un’incompiutezza strutturale ad assorbire gli schemi, il ritmo, la mentalità del calcio globale del tecnico toscano. Perché la zona non è un apatico vagabondaggio nella propria area di rigore, mentre gli avversari affondano. La zona è assumere una responsabilità condivisa di un segmento del campo, un dominio calcolato di tutte le traiettorie possibili, in anticipo sull’avversario. Il contrario di quello che si è visto in occasione del primo gol del Monza. E il pressing non è uno scatto anarcoide e istintivo sull’uomo che porta palla, ma un movimento simultaneo e coordinato che toglie all’avversario visuale e visione, spezzando ogni sua costruzione di gioco. Queste due applicazioni sono incompatibili con la Lazio di cui Sarri dispone.

Per modestia agonistica, per tenuta anagrafica, per intermittenza tecnica, e per fragilità caratteriale. Voglio dire che non fai possesso palla dominante e pressing costante sull’avversario se: 1) hai perso Milinkovic e l’hai sostituito con un paio di mezzi talenti tardi a sbocciare, come Guendouzi e Isaksen, la cui prestazione con il Monza è stata inconsistente; 2) se hai un’età media di trent’anni, e mai novanta minuti nelle gambe, anche se fai cinque sostituzioni; 3) se sei Luis Alberto-dipendente, cioè se affidi al bravo ma non infaticabile regista spagnolo l’ispirazione esclusiva di tutte le azioni nei trenta metri avversari. C’è un problema di inadeguatezza strutturale e malassortimento, che fanno di questa squadra un’incompiuta, anche nelle mani di un grandissimo scienziato del calcio moderno, qual è il suo allenatore.

Da ultimo c’è Immobile e Immobile, e questo non è quello vero. Ma soprattutto è un’illusione pensare che quello vero possa tornare. Per un calciatore che ha fatto le sue fortune sullo spunto, cioè su quell’intuitiva rapidità che gli garantiva sempre un attimo di anticipo sull’avversario, il superamento di una soglia anagrafica è un limite irreversibile. Il centravanti azzurro è ancora un giocatore generoso, tatticamente intelligente, ma non è più il risolutore impareggiabile da quindici-venti gol a stagione. Condannarlo a trentaquattro anni a resistere in campo novanta minuti è una pena che non merita, ma soprattutto non è un rimedio per i mali della Lazio. Poi certo, c’è Zaccagni, e in tanta mestizia è una fortuna di Dio. Ma non basta. I fischi dell’Olimpico esprimono probabilmente le convinzioni che qui abbiamo riassunto. L’ottima passata stagione avrebbe meritato una strategia di rafforzamento diversa. Da ultimo fa piacere constatare che in porta Sarri dispone di un portiere che ormai rappresenta una garanzia, per capacità di piazzamento, per intuito e rapidità di riflessi, per qualità tecnica, e per il suo eccellente uso dei piedi. Sarri ne avrà molto bisogno, e questa pare una consolazione, più che una buona notizia.


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