Il palleggio lezioso e imbelle è una sindrome a cui può andare incontro una squadra assuefatta alla vittoria. Accade alla Lazio, domata, sottomessa e poi trafitta con pieno merito dal Torino, dopo aver collezionato ventidue punti in otto giornate. Tre fattori ribaltano una rincorsa poderosa in una rovinosa caduta: la giornata no di Felipe Anderson, Pedro e Milinkovic, una rinuncia al pressing e al contropiede, che riduce le alternative offensive dei biancocelesti, un arbitraggio scandaloso, che incoraggia la tattica del guastatore Juric. La direzione di Ghersini richiama l’esperimento, fatto nella città tedesca di Bohmte, di eliminare i semafori, lasciando che il traffico si regoli da sé. Non fischia mai, interpreta le regole in modo così tollerante da dare l’idea di volerle riscrivere a suo piacimento. Con l’effetto di fare a pezzi uno dei principi di qualunque ordinamento sanzionatorio: la prevedibilità. Salvo poi ricordarsi nel finale che esistono i cartellini gialli, quando la partita rischia di sfuggirgli di mano. Dovrebbe dirsi inaccettabile, ma è quello che passa il convento.
La sconfitta della Lazio non è solo figlia dell’arbitraggio, ma certamente l’aver ignorato i falli a ripetizione di Singo su Zaccagni ha tolto ai biancocelesti l’arma degli affondi nell’uno contro uno, fiaccando la loro capacità di pungere. Se a sinistra l’esterno di Sarri finisce a terra ogni qualvolta tenta di affondare, senza che si alzi un cartellino giallo, a destra Pedro non ci prova neanche, e in mezzo Anderson non trova spiragli per passare tra le linee. Il fraseggio di Luis Alberto e Milinkovic è elegante e continuo, dà l’illusione di controllare la gara, ma non affonda mai. Perché lo spagnolo è troppo arretrato, il serbo poco ispirato. E i granata si prendono il gioco a poco a poco, bypassano il pressing svogliato di una Lazio lenta, che finisce per allungarsi e scoprirsi. La papera di Provedel è un regalo inatteso, ma è pur vero che altre due volte il portiere nega il gol ai granata, mentre in novanta minuti la Lazio non colleziona una sola vera occasione, se si eccettua un tiro dalla distanza di Luis Alberto che Milinkovic, il fratello più in forma dei due, non trattiene.
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Si ferma la Lazio
A centrocampo è Ilic che fa la differenza. È il giocatore globale, duttile, ficcante e ruvido al punto giusto che Sarri avrebbe voluto in estate. Ostacola, fino a spezzarla, la manovra laziale ogni qualvolta prova a varcare la tre-quarti, e poi colpisce Provedel con una rasoiata che il rimbalzo fa più infida. Se c’è un rammarico per Sarri, è l’aver assecondato il desiderio velleitario di Immobile di giocare in condizioni atleticamente improbabili. Ma anche l’aver gettato tardi nella mischia Lazzari, l’unico in grado di restituire alla manovra biancoceleste gli affondi perduti. Quando pure è accaduto, il Torino era già posizionato con undici uomini dentro e attorno alla sua area di rigore a difesa del vantaggio.
Così dopo quattro vittorie di fila, la fuga della Lazio si ferma e offre alla Juve l’occasione del sorpasso, a Roma, Inter e Milan quella di accorciare. Ma regala anche al Napoli un motivo in più per battersi all’arma bianca a Torino. Se tornasse con tre punti dall’Allianz, Spalletti potrebbe avere contro la Salernitana il match point che vale lo scudetto. Ad assegnarglielo potrebbe essere proprio la Lazio, se non vincesse con l’Inter. Ci aspetta una domenica incandescente.