L’arrivo di Thiago alla Juve mi ha tolto un pesuccio. Adesso lettori, telespettatori, radioascoltatori e frequentatori dei social (escludo gli incolpevoli webeti e i frustrati in servizio permanente effettivo) possono verificare - pur se in sensibile ritardo - che i giornalisti e gli opinionisti sportivi sono quasi tutti di parte, e sottolineo quasi. Sono umani.
Ho sempre sostenuto di essere felicemente fazioso. Obiettivo (ipocrita) no, onesto sì, quantomeno ci provo, talvolta eccessivo, esuberante (esubero mai). Le mie poche fedi sono alla luce del sole, individuabili in un istante. E non derivano da amicizie consolidate, come tanti sospettano. L’origine è un’altra: è la condivisione di idee, lo stesso atteggiamento nei confronti del calcio professionistico (o del profitto, leggi risultato) e dei rapporti umani, la stessa anima. Parlare dei miei partiti mi riesce fin troppo facile, certe prese di posizione riassumono infatti esperienze, sentimenti, vissuto.
In pochi mesi Thiago è diventato la fede di tanti, l’opposizione (ad Allegri, a Mou, ai cosiddetti risultatisti) che si è fatta governo, e allora avanti con le protezioni (spesso di comodo), le attenuanti, gli alibi, le lune di miele e l’invito alla pazienza, che è storicamente incompatibile con la juventinità.
È giusto così, mi sta benissimo, se dichiarato. Nel caso dei nuovi adepti dello Special Motta non serve peraltro l’ammissione pubblica: basta saperli leggere o ascoltare.
Thiago me lo sono goduto per un anno - l’ultimo - a Bologna senza essere fazioso: ha uno stile personalissimo, originale, anche nella comunicazione e nei rapporti: è un tecnico capace, ha uno standing perfetto e uno splendido futuro.
Ma non è il Verbo, l’assoluto, e non vuole, né potrà mai essere Guardiola, partito a Barcellona con una squadra di fenomeni e da tempo punto di riferimento per moltissimi allenatori che lo inseguono insistentemente senza poterlo raggiungere, visto che Pep è sempre un passo più avanti di tutti. E non è mai lo stesso: continua a studiare, a provare, sbaglia e si corregge finché trova la formula. Oppenheimer. Calcio atomico. Esplode con Messi & C. Non fa danni, diverte, esalta, produce anche un’annosa diatriba che ne conferma il valore. Secondo me certe fantasie se le concede apposta: si diverte, nutrendo il suo egotismo.
Pep è unico, costoso e irripetibile. Eppure continuo a tenere i miei. Quelli di un calcio rispettoso delle caratteristiche dei giocatori, quelli che vincono tanto, quelli che sanno trattare con la squadra, quelli che quando parlano affascinano, intelligenti e scaltri. E diretti. Non maghi: maestri.
PS. E comunque continuo a seguire con affetto e inalterata stima anche Silvio Baldini a Pescara. Il migliore. Il re dei Folli. Appuntamento da qui al 7 a Corinaldo per il festival della categoria.