Caso doping Pogba: ecco perché ha rifiutato il patteggiamento

La procura avrebbe suggerito al francese di accettare due anni di squalifica, proposta che il centrocampista ha ritenuto essere l'anticamera del ritiro dai campi
Caso doping Pogba: ecco perché ha rifiutato il patteggiamento© Getty Images
Giorgio Marota
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La pena massima che ha il potere di stroncare carriera e reputazione, senza sconti né attenuanti. Con una positività al testosterone e un patteggiamento rifiutato, Paul Pogba rischia di vedere la propria storia calcistica andare in mille pezzi: la procura nazionale antidoping guidata da Pierfilippo Laviani ieri ha chiesto per lui 4 anni di squalifica. Dopo averlo sospeso in via cautelare l’11 settembre (è fermo da 88 giorni), l’organo inquirente ha proceduto con il deferimento nei confronti del francese per la violazione degli articoli 2.1 e 2.2 del codice internazionale. E cioè per aver riscontrato lo scorso 20 agosto, in un controllo dopo Udinese-Juventus la “presenza di una sostanza proibita o dei suoi metaboliti o markers nel campione biologico”, oltre che per “l’uso o tentato uso” con responsabilità personale in capo all’atleta. 
 

Accordo saltato 

Nel caso di Pogba la sostanza incriminata è il testosterone, trovato nelle sue urine presenti all’interno del campione A e ritrovato pure nel campione B delle controanalisi, richieste dall’incolpato ed effettuate tra il 5 e il 6 ottobre sempre al laboratorio dell’Acqua Acetosa di Roma. C’è un aspetto poi che rende ancor più complessa la posizione di Pogba: il ragazzo avrebbe rifiutato un accordo. Ecco il passaggio nel documento a firma della procura antidoping: “mancata accettazione della sanzione proposta e contestuale richiesta dell’udienza dibattimentale”. La procura avrebbe suggerito a Pogba di accettare due anni di squalifica, sanzione che a 30 anni il francese deve aver ritenuto come l’anticamera dell’appendere gli scarpini al chiodo. Nei dialoghi con l’antidoping, Paul avrebbe parlato di un integratore preso a metà giugno mentre era in vacanza negli Stati Uniti, e i suoi legali sarebbero pronti a sostenere come nelle sue urine ci sia il Dhea anziché il testosterone, un ormone della giovinezza presente in alcuni supplementi alimentari, sempre proibito dalla Wada ma decisamente meno conosciuto. Le “conseguenze” del Dhea, in termini di pena, potrebbero essere quindi meno rilevanti. Se questa tesi difensiva fosse dimostrata in aula, risulterebbe più plausibile l’assunzione inconsapevole che porta già di suo a un dimezzamento della pena. Pogba spera quindi di scendere sotto i due anni puntando anche su altre circostanze attenuanti, sempre previste dall’articolo 11.2 del regolamento. Ecco spiegato il “no” al tentativo di accordo.

Testosterone o Dhea

Una versione che però agli esperti non quadra. Nel referto delle analisi si parla esplicitamente di «Metaboliti del testosterone di origine non endogena», con quattro marker su quattro tutti positivi a questa sostanza. Significa che il prodotto di trasformazione rintracciato nelle urine non proviene dal testosterone che l’atleta produce naturalmente, ad esempio dai testicoli, bensì risulta essere “estraneo” al corpo umano, quindi sintentico. Il Dhea, tra l’altro, è visibile in particolare a ridosso della sua assunzione, quindi più vicina al 20 agosto che a metà giugno. A sciogliere tutti i nodi sarà il giudice dell’antidoping in un’udienza già attesissima.

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