Prima ha scalciato una bottiglietta, poi si è tolto la giacca. Rimasto in camicia e cravatta, Allegri si è liberato anche di quest’ultima e se la partita fosse durata altri quindici minuti probabilmente l’avrebbe chiusa in mutande e calzini neri. Seminudo, ma più che soddisfatto, perché è andata esattamente come aveva sperato: Thiaw gli ha dato una grossa mano lasciando il Milan in dieci al quarantesimo del primo tempo, ma il resto è tutto suo, frutto delle sue conoscenze, del calcio che oggi può fare, più che di quello che sa fare.
Un anno fa, l’8 ottobre, sempre alla nona giornata, era finita 2-0 per il Milan, stavolta la Juve ha portato a casa il massimo, togliendo tutti gli spazi possibili a Leao e compagni. Energico e ossessivo è stato il trattamento riservato da Gatti al portoghese, nell’occasione l’unico produttore di accensioni della squadra di Pioli; di grande attenzione e volontà, pur se di scarsa precisione, la prova complessiva degli juventini: mi è piaciuto Kean, che ha lottato tanto, anche Rugani è stato efficace, Locatelli l’ha risolta col suo pezzo forte, il tiro dalla distanza di sette anni.
Il Milan ha provato ad attaccare anche in dieci, ma troppi giocatori sono risultati sfasati (Musah, Reijnders, Adli) e l’uscita di Pulisic ne ha ridotto sensibilmente la creatività.
Pioli ora ha un punto in più dello scorso anno, Allegri 7, come Inzaghi. Ma il prodotto non cambia: per lo scudetto ci sono Inter, Napoli (in ritardo) e Milan.
La Juve è il cinese che attende sulla riva del fiume che gli altri anneghino nei loro limiti.