La farfallina ha impiegato quasi un’ora per uscire dal suo bozzolo, ma alla fine ce l’ha fatta. E ha preso svolazzare, più leggera nell’ultima mezz’ora, dopo il gol di Milik che ha ristabilito le tradizionali distanze, in partita e in classifica, fra la Juventus e il Lecce. La vittoria aiuterà la squadra di Allegri, ma anche in quest’ultima serata le difficoltà non sono mancate. Per un’ora non sembrava che la Juve fosse reduce dalla sconfitta di Reggio Emilia, che ci fossero stati errori, né tanto meno orrori, contro il Sassuolo. Stava in campo come se non avesse niente da farsi perdonare e come se il Lecce, il suo sorprendente avversario, non fosse davanti in classifica. Perché se non fosse stato così, avrebbe giocato quanto meno con più rabbia, con un po’ di furore e un po’ di cattiveria, le qualità che animavano un solo bianconero, Federico Chiesa.
Lasciamo stare il gioco, perché in questo momento nessuno entusiasma in Serie A, stenta il Napoli, ha rallentato il Milan, non incanta la Roma, balbetta la Lazio e anche l’Inter, seppure a punteggio pieno, non è stata uno splendore a Empoli. Ma la voglia di sentirsi viva, lo spirito di chi non accetta un destino da povero, quello sì, quello doveva venir fuori subito. Lo esigeva la sua gente che, spazientita, a fine primo tempo ha fischiato. Invece la Juve ha cincischiato. Nella prima ora tre tiri da fuori area, una sola occasione sprecata da Chiesa e un’infinità di passaggi sbagliati, di appoggi ritardati, di marcature preventive saltate. Per dirla come Allegri, la Juve stava giocando male tecnicamente. Eppure il Lecce non mordeva, costruiva piano, abbassava il ritmo, gestiva per mantenere il possesso della palla e la posizione di superiorità in classifica. La squadra di D’Aversa stava facendo la partita che voleva, quella di Allegri stava facendo la partita che voleva il Lecce.
La difesa della Juve
Poi è arrivato il gol di Milik, il primo alla prima partita da titolare di questo suo campionato, e la Juve ha cominciato a respirare. Una volta in vantaggio, è tornata pure la sua difesa per riscattare l’incubo di Reggio Emilia ed ha impedito al Lecce anche una sola conclusione pericolosa. L’ha spento. Si è sentita un po’ più sicura. Non ha incantato, ma è diventata più solida, meno esposta alle sue incertezze, meno nervosa. Ora anche la classifica aiuta la squadra di Allegri. Aspettando tutte le altre, è seconda, alle spalle dell’Inter, ma quello che interessa all’allenatore sono i 3 punti in più rispetto al campionato scorso, e anche i 3 gol in più segnati. E poi, come detto, ieri sera il Lecce non ha mai concluso nella porta di Szczesny e questo è un merito di Danilo e compagni.
A proposito del Lecce, forse poteva crederci un po’ di più. Ha indugiato nella gestione, eppure davanti aveva tre giocatori con uno spunto non da poco, con Almqvist più veloce di Cambiaso, con Krstovic che costringeva Bremer a una serie di falli, con Strefezza che chiedeva rifornimenti con più frequenza. Ha pensato, sbagliando, che fosse sufficiente quel controllo per addormentare la Juve e in effetti i primi 60 minuti davano ragione alla scelta dei pugliesi. Quando però si è trovato in svantaggio, non è riuscito a cambiare il programma ed è rimasto un po’ piatto. Ma il campionato del Lecce non si gioca sul campo della Juve, del resto anche D’Aversa era stato chiaro, non siamo il Leicester. No, non lo è. La suggestione forse si è esaurita, però resta forte la sensazione di una squadra nata con le idee di un genio di provincia come Corvino e di un allenatore che ha dato forza a giocatori sconosciuti, prima di vestire questa maglia.