Il ritratto di Pogba, una vita sempre al limite

Il caso doping ricatapulta il francese al centro delle attenzioni. Ma è soltanto l’ultimo capitolo di un’esistenza trascorsa inesorabilmente tra alti e bassi
Il ritratto di Pogba, una vita sempre al limite© LAPRESSE
Cristiano Gatti
6 min
TagsPogba

Aveva appena finito di dirlo ad Al Jazeera: «L’anno scorso ho anche pensato di smettere, di chiudere con il calcio». Veniva dalla storia miserevole con suo fratello Mathias, assieme ad alcuni compari nelle vesti di rapitori e di estorsori, richiesta di 13 milioni e 100mila versati sull’unghia. Era sfinito dalla delusione e dalle ombre, «il denaro cambia le persone e può distruggere una famiglia, può creare una guerra: a volte, quando ero da solo, pensavo, non voglio più avere soldi, non voglio più giocare a calcio. Voglio solo stare con persone normali, così mi ameranno per quello che sono, non per la fama, non per i soldi...», eccetera eccetera. Amore di fratelli amore di coltelli, neanche tanto nuova, benché davvero trucida, come storia. Eppure ne era uscito, Paul Pogba. Ma dove non è riuscito l’intrigo dell’anno, può riuscire adesso l’antidoping. Il testosterone, lo sanno quasi tutti, serve a pompare i muscoli, scorciatoia rapida per chi abbia problemi di recupero. E Dio solo sa quanti problemi di recupero abbia affrontato nell’ultima parte della sua vita Pogba, da quando nell’estate scorsa è tornato alla Juve. Ma in questi casi bisogna solo aspettare e stare buoni, sorbendoci tutti la liturgia inflessibile della procedura, controanalisi, pronunciamenti della giustizia sportiva e compagnia cantante. Grazie al Cielo, le spietate sentenze già emesse via social non fanno ancora Cassazione. 

Pogba, una storia tra alti e bassi

Nell’attesa, la mazzata c’è tutta. D’altra parte, sta scritto che la storia di Pogba non possa e non debba mai avere pause noiose e zone morte. Tutta la sua epopea, benché abbia solo trent’anni, anche se ultimamente se ne parla sempre come di un cinquantenne, è tracciata e segnata dai toni romantici, splendida e maledetta. Figlio di genitori immigrati dalla Guinea, cresciuto nella banlieue Roissy-en-Brie, lì gioca nella locale squadra dai sei a tredici anni, ricavandoci subito un soprannome altamente evocativo: “la Pioche”, il Piccone. Il ragazzino ha piedi buoni, ma non è del genere numero dieci, estro e fantasia: piedi decenti li ha, e tuttavia sono soprattutto piedi forti. Lo capiranno tutti col passare del tempo. Lo capirà prima degli altri il Manchester United, che nel 2009, quando ha 16 anni, lo va a prelevare dalle meglio giovanili di Francia - Accademia Le Havre - per portarselo nell’Eldorado del Regno Unito. Esordio in prima squadra nel 2011, tutto sembra girare al massimo, ma proprio in quel preciso momento inizia la sua altalena dal meglio al peggio, dal bianco al nero, dalle stelle alle stalle, che poi in fondo segnerà l’intero suo futuro. Anno 2012, anno chiave, anno di svolta: proprio mentre sembra pronto per un posto da titolare, torna a giocare dopo annuncio di ritiro Paul Scholes. Sostanzialmente la vecchia gloria gli sfila la sedia da sotto al sedere e per il giovane Paul è già una prima fine, una delle tante che si alternano ai suoi momenti di invidiato splendore. E’ il periodo della guerra con il patriarca Ferguson, al quale Paul si contrappone con un pezzo grosso di queste faccende, il popolare Raiola, non uno propriamente arrendevole. 
Alla Juve da svincolato, questa la soluzione ai primi dolori del giovane Werther. E’ il 2012 e da qui in poi noi italiani conosciamo quasi tutto: la sua forza in mezzo al campo, i quattro scudetti, le due Coppe Italia, le tre Supercoppe. Ce n’è abbastanza per tornare al Manchester in un nuovo modo, nel 2016, al modo della cifra più alta mai spesa fino a quel momento sul mercato: 72 milioni per la Juve e 27 per Raiola, non vorremmo mai che i procuratori facciano la fame. Fortune e dannazioni. Ancora, come sempre, una regola. La migliore resta il Mondiale vinto con la Francia, Russia 2018. In contrappeso, una depressione feroce a Manchester, Mourinho in panchina (confessione pubblica al “Figaro”). Ma la peggiore, non è nemmeno il caso di ripeterlo, quella storia bestiale del fratello Mathias, che una sera - racconta Paul - lo sequestra a Seine-et-Marne per scucirgli una montagna di soldi, i famosi 13 milioni, di cui 100mila prelevati subito sotto minaccia e versati in contanti. Episodio ai limiti umani dell’incredibile, proprio fra pochi giorni arriverà in tribunale a Parigi, con questo amabile Mathias incriminato per «tentata estorsione e associazione a delinquere», lui insieme ad amici d’infanzia di censo non propriamente aristocratico. Pensavano a Parigi che comunque Paul non si sarebbe presentato in aula, per evitare cattivi pensieri e pessimi incontri. Risultava già abbastanza provato, dagli odii familiari e in sovrapposizione da quest’annata fallimentare alla Juve, messo in croce dai suoi stessi tifosi per i soldi incassati senza mai scendere in campo davvero, mesi e mesi trascorsi al massimo come ipotesi, come speranza, come rievocazione di un tempo e di un giocatore irripetibili. 

Il finale da fiction è piuttosto un reality con i controfiocchi infernali: a trent’anni mancava solo il caso di doping, come non ne avesse viste abbastanza, come se la sceneggiatura di questa vita non fosse già abbastanza zeppa. «Non sono un debole, farò rimangiare a tutti le critiche, io non mi arrenderò mai», aveva appena proclamato, concludendo l’intervista ad Al Jazeera. Per testosterone si rischiano anche quattro anni. Ritrovarsi a sognare d’essere il nuovo Palomino. Diventa durissima non arrendersi mai


© RIPRODUZIONE RISERVATA

Juve, i migliori video