Massimiliano Allegri appartiene a una certa idea di Juventus, quella di Andrea Agnelli, la Juve che ha vinto e speso tanto, troppo, prima di essere azzerata dai giudici. Una Juve più tradizionale, di radici, cinica, a tratti sfuggente e ispida, comunque visionaria, umbertina nel senso più pieno del termine. Di quella stagione hanno fatto parte altri due sopravvissuti: Federico Cherubini, che oggi ha un ruolo solo apparentemente marginale, e Giovanni Manna, il giovane direttore sportivo sul quale lo stesso Agnelli avrebbe volentieri investito. Di Manna, che non conosco personalmente (sorry), sento parlare molto bene dagli addetti ai lavori. In particolare dagli operatori internazionali.
Tra gli usciti di scena segnalo una figura a suo modo importante, lo storico capo della comunicazione Claudio Albanese, probabilmente il più abile e preparato professionista del settore incontrato negli ultimi trent’anni: non sono di parte perché con lui ho scazzato tante volte, trovandolo arrogante come uno juventino (pur essendo, lui, di originarie simpatie toriniste) prima di comprenderne l’utilità per la società della quale curava gli interessi. La nuova Juve, l’Elkanniana, è invece rappresentata dal presidente Ferrero, dall’ad Scanavino e da Cristiano Giuntoli, affermatosi negli otto anni napoletani durante i quali ha avuto a che fare con una piazza assai diversa da quella bianconera, che è una non-piazza, e con due volponi di complicata gestione, il presidente De Laurentiis e il braccio destro Chiavelli. Pertanto, Giuntoli è uno che sa stare al mondo. E che, aggiungo, nutre da sempre una grande stima nei confronti di Allegri.
In mezzo alle due Juve si muove Francesco Calvo, la transizione, il dirigente che - con l’approvazione di Scanavino, della proprietà - ha spinto per portare Giuntoli a Torino. Due in una, dunque. Esperienza, successi, stabilità e scivoloni da una parte; freschezza, entusiasmo, qualche ingenuità e senso di responsabilità dall’altra: dalla rapidità con cui le due realtà riusciranno a integrarsi e a parlare la stessa lingua, o a parlare pochissimo, dipenderà - oltre che da Lukaku - il futuro prossimo del club, in altre parole la stagione. Se si sente sempre parlare di regole della convivenza e mai di piaceri, un motivo ci sarà (cit.)